EPOPEA DELLA CUCINA FUTURISTA

La cucina futurista, regolata come il motore di un idrovolante per alte velocità,
sembrerà ad alcuni tremebondi passatisti pazzesca e pericolosa:
essa invece vuol finalmente creare un'armonia tra il palato degli uomini e
la loro vita di oggi e di domani.
Filippo Tommaso Marinetti

«Mangia con arte per agire con arte»
, sosteneva Filippo Tommaso Marinetti, il primo a rivoluzionare secondo i principii della cucina futurista la gastronomia in Italia e nel mondo. Per scoprire la storia e i segreti della cucina degli artisti futuristi, leggete il volume di Guido Andrea Pautasso, Epopea della cucina futurista, pubblicato (in 300 copie numerate) dalle Edizioni Galleria Daniela Rallo di Cremona.

www.guidoandreapautasso.com
http://vampirofuturista.blogspot.it/

Traduzione in lingua russa di Irina Yaroslavtseva

Переводчик: Ярославцева Ирина



giovedì 16 ottobre 2014

CUCINA FUTURISTA I Futuristi Boccioni la Nota della Lavandaia e il socialismo di Alessandrina Ravizza di Guido Andrea Pautasso





Boccioni, la Nota della lavandaia, e il socialismo umanitario di Alessandrina Ravizza

L’incontro tra il più grande artista futurista italiano, Umberto Boccioni e Alessandrina Ravizza, la storica portavoce del socialismo umanitario nel nostro paese, avvenne a Milano nel 1910. Da quell’incontro nacquero due iniziative straordinarie: la ‘Prima Esposizione d’Arte Libera’ a Milano nel 1911 e l’anno successivo la pubblicazione del libro Nota della lavandaia, scritto da Ravizza con la copertina adornata da un disegno a colori di Boccioni.
Luigi Russolo, pittore nonché musicista futurista inventore dell’Arte dei rumori, assieme a Boccioni, aveva l’abitudine di recarsi a mangiare la busecca in una affollata ed economica ‘Trattoria’ di via Cavallotti, che si trovava in centro a Milano, non troppo distante dal covo dei futuristi e di Filippo Tommaso Marinetti nella Casa Rossa in via Senato, né tanto meno dal più famoso e costoso ‘Ristorante Savini’. I due artisti futuristi seguivano le orme dell’amico Carlo Dalmazzo Carrà che, prima di aderire all’avanguardia marinettiana, proprio in quella trattoria aveva incontrato i volti noti dell’anarchia milanese che gli avevano commissionato i suoi primi disegni: alcuni bozzetti per le testate di riviste socialiste rivoluzionarie come “La Barricata”, “La Rivolta”, “La Sciarpa Nera” e “La Questione Sociale”. Nei locali rustici di via Cavallotti, dove gli anarchici architettavano le loro azioni rivoluzionarie, è possibile che vi pranzasse la ‘Madonna dei poveri’ Alessandrina Ravizza, fondatrice dell’‘Università Popolare’, nonché direttrice della ‘Casa del Lavoro per Disoccupati’ – associazione fondata dalla milanese ‘Società Umanitaria’-, membro dell’‘Unione Femminile Nazionale’ (la più importante associazione emancipazionista di orientamento radical-socialista in Italia) e la prima a costituire nel capoluogo lombardo (in via Anfiteatro 16) la ‘Cucina dei malati poveri’ per offrire cibo e assistenza gratuita agli indigenti sin dal 1888. Purtroppo non abbiamo alcuna certezza del luogo esatto dove avvenne l’incontro tra Ravizza e Boccioni: forse avvenne in via Cavallotti oppure i due si ritrovarono per caso seduti ad un tavolaccio in quella ‘Cucina dei malati poveri’. Di certo è che Boccioni, quando incontrò quella signora impegnata ad aiutare accattoni ed ammalati, le parlò del progetto di realizzare a Milano la ‘Prima Esposizione d’Arte Libera’: una mostra il cui ricavato delle vendite sarebbe stato destinato alla ‘Cassa sussidi per i disoccupati della Casa di Lavoro’, e che si rivelò di fondamentale importanza per il movimento futurista.
Ravizza venne coinvolta da Boccioni nell’organizzazione di una mostra aperta ad artisti più o meno affermati e di qualsiasi tendenza pittorica od età (come avveniva dal 1884 in Francia ai ‘Salons des Indépendants’). L’entusiasmo con cui Ravizza accolse la proposta di Boccioni ha indotto studiosi e critici a pensare anche alla possibilità che lei stessa fosse intervenuta direttamente nell’organizzazione dell’evento dando un particolare taglio ideologico alla stesura della lettera-invito all’esposizione. Il testo dell’invito (firmato da Boccioni, da Carrà, da Alessandro Mazzucotelli, da Guido Mazzocchi, da Ugo Nebbia e da Giovanni Rocco) precisava che alla mostra sarebbero state accolte «tutte le espressioni individuali dell’artista dal più umile e infantile sogno di bambino alla più complessa manifestazione della maturità del genio», perché quella esposizione sarebbe stata diversa da tutte le altre. La mostra dell’‘Arte Libera’ infatti avrebbe dimostrato che «il senso artistico, ritenuto privilegio di pochi, è innato nella natura umana, e che le forme con le quali esso si manifesta sono semplici esponenti della maggiore o minore sensibilità di chi le concreta», senza che esista alcuna pregiudiziale politica, economica o sociale. Inoltre all’esposizione non vi sarebbe stata alcuna giuria e nessuna valutazione delle opere da parte di critici d’arte. I firmatari precisarono che non intendevano assolutamente escludere «chi facendo dell’arte una professione, educa e perfeziona le qualità naturali», ma si premuravano soprattutto di invitare quanti intendessero «affermare qualche cosa di nuovo, lungi cioè da imitazioni, derivazioni e contraffazioni» e coloro che tentavano «di esprimersi diversamente» da ciò che era «comune e convenzionale». In nome della libertà d’espressione gli organizzatori reclamavano la ricerca «di un’arte più ingenua, più istintiva, riportata alle sue sane origini» e invitavano ad esporre i ragazzi, gli operai e tutti quegli uomini «che adoperano il linguaggio universale delle forme e dei colori per fissare ciò che la parola mal saprebbe esprimere».
All’esposizione, in un padiglione della fabbrica ‘Ricordi’ al numero ventuno di viale Vittoria, in una ex-officina grafica posta quasi al limitare della campagna milanese, furono esposte quattrocento opere di pittori e di artisti quasi esclusivamente milanesi. In uno spazio distinto, chiamato la ‘Sala futurista’, oltre alle opere di Boccioni, furono raccolte le tele di Carrà e quelle di Russolo, tutte audacemente accostate a dei disegni di un bambino di sette anni -come testimonia Boccioni in un’ appassionata lettera scrivendo a sua cugina Adriana Bisi Fabbri, pittrice autodidatta e caricaturista affermata.
Boccioni espose opere futuriste caratterizzate da una forte vena antiborghese, come Retata, Baruffa, La città che sale -presentato ancora con il primo titolo, Il lavoro- e La risata, quest’ultimo considerato estremamente provocatorio e custode di un messaggio sovversivo ed immorale. Gino Agnese, nel libro dedicato all’artista, Vita di Boccioni, sostiene che La risata esprimeva una notevole carica rivoluzionaria in quanto, rifacendosi ai concetti espressi in Le rire. Essai sur la signification du comique (1900) da Henri Bergson, Boccioni aveva reso la risata un «gesto sociale» e rivoluzionario, trasformando l’esplosione del ridere in un «folgorante correttivo del conformismo, che appunto è comico nella sua rigidità ripetitiva e grigia». Gino Agnese offre una descrizione del quadro affascinante, non limitandosi a presentare l’opera come il semplice ritratto, dalla grottesca esagerazione, di tre cocotte e di tre viveur seduti al ristorante, dato che il dipinto «raffigura simultaneamente e fantasticamente le luci, le figure, i colori, gli arredi di un grande, affollato caffè, nel quale trionfa l’opulenza giunonica d’una donna che ride, ride beata e così diffonde la sua ilarità in tutto l’ambiente come un vento sonoro che fa quasi tintinnare i bicchieri, investe i pensieri gravi di alcuni uomini che le sono d’intorno e solleva, sopra un concerto di tinte accese, un’immensa piuma di struzzo gialla». L’opera, un inno alla vita notturna e alle figure febbrili del viveur e della cocotte, è una composizione pienamente futurista nonostante i forti rimandi alla pittura espressionista e la presenza di tagli scompositivi (da intendersi in chiave più cubista che futurista) che si accentuano grazie alla violenza accecante dei colori sfacciati ed impetuosi.
La risata diventò subito un’opera fondamentale, simbolo dell’esaltazione vitalistica dei futuristi, e dopo l’‘Esposizione d’arte libera’ milanese, venne presentata l’anno successivo al grande pubblico internazionale alla Exhibition of Works by the Italian Futurist Painters (significativa mostra, tenutasi alla ‘Sackville Gallery’ di Londra nel 1912, che propose tele di Carrà, di Russolo e di Gino Severini o altre a quelle dipinte da Boccioni). Nel catalogo della mostra Boccioni stesso descrisse La risata con parole che rimandavano ai concetti di movimento, di trasparenza, di compenetrazione di piani e di visione multipla delle immagini. Tali concetti, associati alla nuova poetica del ‘trascendentalismo fisico’ e alle nuove scoperte scientifiche dell’epoca -come i raggi x di Roentgen- diventarono via via gli elementi tipici della pittura dell’artista futurista milanese: «The scene is round the table of a restaurant where all are gay. The personages are studied from all sides and both the objects in front and those all the back are to be seen, all these being present in the painter’s memory, so that the principle of the Roetgen rays is applied to the picture».
Tuttavia durante la mostra milanese del 1911, La risata venne sfregiata per protesta probabilmente da uno squilibrato armato della lama di un rasoio o, forse, di un coltello. All’epoca si scatenarono molte congetture riguardo la natura di quell’inspiegabile gesto; in molti pensarono che fosse stato un’artista non ammesso tra gli espositori, altri credettero che dietro l’aggressione vi fosse la mano di una fanciulla abbandonata o delusa dal tombeur de femme Boccioni. Carlo Carrà ipotizzò invece la vendetta di «anonimi nemici esasperati» dal successo dei futuristi, e scagliò le sue invettive contro la «viltà dei passatisti» in un volantino -scritto assieme a Russolo e a Boccioni- intitolato Un quadro futurista sfregiato dai Passatisti: «Noi Futuristi denunciamo al disprezzo universale la vigliaccheria dei nostri avversari passatisti, i quali hanno sconciamente sfregiato il quadro La risata di Umberto Boccioni. Questi anonimi nemici, esasperati dal grande successo della PRIMA ESPOSIZIONE LIBERA D’ARTE, ideata da noi, e nella quale trionfano, senza possibilità di confronti CINQUANTA NOSTRI QUADRI FUTURISTI, credettero senza dubbio di offuscare così la nostra nuova vittoria, mentre dovunque la gioia sorride al nostro inesauribile, oceanico genio creatore. Costoro ci fanno schifo e pietà insieme». Lo squarcio sulla tela costrinse Boccioni a riparare il quadro e, poi, in un secondo tempo addirittura a ridipingerlo, accentuandone in parte le già presenti componenti cubiste: questa nuova versione della Risata, come già ricordato, venne esposta in occasione della tournée internazionale delle mostre futuriste a Londra, Parigi e Berlino, accompagnate nei rispettivi cataloghi dalla descrizione poetica offerta da Boccioni (Oggi La risata si trova al ‘Museum of Modern’ Art di New York, donata da Herbert e Nannette Rotschild nel 1959. Quanti hanno avuto modo di prendere visione del retro della tela hanno affermato che questa non presenta alcun taglio o sfregio ed hanno avvalorato l’ipotesi di un eventuale rifacimento del quadro sotto l’influenza dei dipinti di Pablo Picasso, di Georges Braque e soprattutto di alcune opere di Gino Severini come La danse du «pan pan» au Monico e La Danseuse obsédante).
Nonostante l’episodio dello sfregio, la mostra milanese dell’‘Arte Libera’ ebbe un notevole successo di pubblico, con i giornalisti che recensirono favorevolmente i quadri di Boccioni per la loro audacia e impatto coloristico; mentre per alcuni futuristi le stroncature da parte della critica  furono molto sferzanti. Se Nino Barbantini, recensendo la mostra su “L’Avvenire d’Italia”, segnalò che tra le quattrocento opere esposte le uniche che non fossero inutili ed insignificanti erano quelle di Boccioni e di Carrà, sul “Corriere della Sera” un certo A.C. distinse con sarcasmo gli «artisti veri» presenti alla mostra dai futuristi che avevano «potuto sfogare le più folli orge coloristiche, le più matte stramberie, le fantasie più macabre, tutte le ubbriacature possibili e immaginabili». Di fronte a quella provocazione Marinetti fece stampare la risposta degli artisti del movimento in un ironico volantino intitolato 50 quadri futuristi: «Cittadini! Se non volete coprirvi di vergogna, dando prova di una ignominiosa apatia intellettuale, indegna degli alti destini futuristi di Milano, correte a inebriarvi lo spirito davanti ai 50 quadri futuristi di Boccioni Carrà e Russolo […]. Questa esplosione del genio futurista è la sola glorificazione del Cinquantenario d’Italia». Le stroncature non arrivarono soltanto dai quotidiani locali; Ardengo Soffici, con la complicità di Giuseppe Prezzolini, non esitò a colpire con veemenza l’‘Esposizione dell’Arte Libera’ scrivendo, il 2 giugno del 1911, un sarcastico articolo sulla rivista fiorentina “La Voce” (“Arte libera e pittura futurista”), dove si prendeva giuoco delle invenzioni pittoriche del futurismo. La reazione di Marinetti non si fece attendere: i futuristi milanesi, inferociti dalla stroncatura, partirono alla volta di Firenze per colpire i nemici de “La Voce” con una sorprendente spedizione punitiva. Una settimana dopo la pubblicazione della recensione di Soffici, Boccioni, Russolo, Carrà e Marinetti, si scontrarono con i ‘vociani’ in una violenta rissa esplosa al ‘Caffè delle Giubbe Rosse’ e che si concluse soltanto in questura, dove i celerini, stupefatti, faticarono a lungo prima di riuscire a placare gli animi dei contendenti. Nonostante la scazzottata (raccontata anche in un volantino futurista intitolato Schiaffi, pugni e quadri futuristi) la riconciliazione fu possibile grazie alla mediazione di Aldo Palazzeschi e Gino Severini: Soffici e Giovanni Papini si avvicinarono al Futurismo e, attratti dal pensiero avanguardista di Marinetti, dettero poi vita alla storica rivista futurista “Lacerba”.
Ma ritorniamo ancora al vernissage della ‘Prima Esposizione d’Arte Libera’: mentre Marinetti propagandava le teorie artistiche del movimento nel tentativo di coinvolgere pubblico e giornalisti con la sua esposizione enfatica, Alessandrina Ravizza incontrò Boccioni. Nel trambusto della ‘Sala Futurista’ Ravizza chiese all’artista se avesse voluto realizzare un disegno apposta per lei: non desiderava un ritratto, bensì un’immagine forte e futurista per la copertina del suo ultimo libro intitolato la Nota della lavandaia, che raccontava la storia e la miseria del mondo dei poveri e dei disoccupati milanesi: un mondo popolato da «viandanti della sfortuna» capaci però di lasciare «una impronta che il tempo non distrugge», argomento già trattato ne I miei ladruncoli.
Allora Boccioni tornò nel suo studio e tracciò a matita rossa una delle sue più inquietanti e vorticose visioni simultanee: un’opera che attraverso l’immagine di un volto urlante e sconvolto da una esplosione di luce solare, affermava l’esaltazione lirica e la plastica manifestazione dello spettacolo dato dalla vita moderna sotto forma di una visione multipla, dinamica, che perpetrava nel segno dell’artista l’inizio o il miraggio dell’avvento di una nuova era. Il grido e il viso di quell’essere sconvolto, metà uomo e metà fiera, era l’espressione dell’ansia e soprattutto del desiderio violento di riscatto sociale dei poveri e dei sofferenti raccontati nel libro dalla Ravizza, il cui destino era segnato da una società ingiusta che per Boccioni non attendeva altro se non l’esplosione della rivolta del Futurismo. E così il libro Nota della lavandaia, pubblicato in occasione del Capodanno del 1912 in pochissime copie, ebbe l’onore e la fortuna di avere sulla copertina uno tra i disegni meno noti del più innovativo artista italiano del Novecento.

Guido Andrea Pautasso

BIBLIOGRAFIA
Angese Gino, Vita di Boccioni, Firenze, Camunia, 1996.
Anonimo (ma Marinetti Filippo Tommaso), Schiaffi, pugni e quadri futuristi, Milano, Movimento Futurista, s.d. (ma giugno 1911).
(a cura di Ballo Guido), Boccioni. Visioni simultanee, Milano Mostra Palazzo Reale dicembre 1982-marzo 1983, Milano, Mazzotta, 1982.
Boccioni Umberto-Carrà C. (Carlo) D. (Dalmazzo)-Mazzucotelli Alessandro-Mazzocchi Guido-Nebbia Ugo-Rocco Giovanni, Lettera-invito per l’Esposizione d’Arte Libera, Milano, Società Umanitaria-Fondazione Loria-Casa del Lavoro, 30 gennaio 1911.
Carrà (Carlo)-Russolo (Luigi)-Boccioni (Umberto), Un quadro futurista sfregiato dai Passatisti,  s.l. (ma Milano), Movimento Futurista, Prima Esposizione Libera viale Vittoria, 21 (ex stabilimento Ricordi), s.d. (ma maggio 1911).
Ciampi Alberto, Futuristi e anarchici- quali rapporti? Dal primo manifesto alla prima guerra mondiale e dintorni (1909-1917), Pistoia, Edizioni Archivio Famiglia Berneri, 1989.
(a cura di Crispolti Enrico), Nuovi Archivi del Futurismo. Cataloghi di esposizioni, Roma, De Luca Editori d’Arte-CNR-Consiglio Nazionale delle Ricerche-La Quadriennale di Roma, 2010.
I futuristi (ma Boccioni Umberto-Carrà Carlo Dalmazzo-Russolo Luigi), 50 quadri futuristi, Milano, Movimento Futurista, s.d. (ma 30 aprile 1911).
Marinetti Filippo Tommaso-Balla Giacomo-Boccioni Umberto- Carrà Carlo D. (Dalmazzo)-Russolo Luigi-Severini Gino, Exhibition of works of the italian futurist painters, London, The Sackville Gallery Ltd., 28 Sackville Street, March 1912.
Pautasso Guido Andrea, Epopea della cucina futurista. Mangiare con arte per agire con arte, Cremona, Edizioni Galleria Daniela Rallo, 2010.
Ravizza Alessandrina, I miei ladruncoli, Roma, Nuova Antologia, 1906 (ristampato l’anno successivo dalle edizioni del gruppo socialista “La seminagione laica” di Milano).
Ravizza Alessandrina, Nota della lavandaia, Milano, Cooperativa Tipografia degli Operai 1912 (copertina illustrata a colori da Umberto Boccioni).
(a cura di Rovati Federica), Umberto Boccioni. Lettere futuriste, Trento-Rovereto, Egon-Mart, 2009.
Russolo Luigi, L’arte dei rumori, Milano, Edizioni Futuriste di “Poesia”, 1916.
Salaris Claudia, Storia del Futurismo, Roma, Editori Riuniti, 1985.
Samsom-Leroux Perrine, “Umberto Boccioni. La risata, 1911” in AA.VV., Futurismo Avanguardiavanguardie, a cura di Didier Ottinger, Paris-Milano, Éditions Centre Pompidou-5 Continents Editions, 2009.
Soffici Ardengo, “Arte libera e pittura futurista”, “La Voce”, anno III, n.25, 22 giugno 1911.

venerdì 8 agosto 2014

Futurismo a Stazzema - Alta Versilia: il Circolo stazzemese e il Monte Procinto Futurista di Cucina Futurista GUIDO ANDREA PAUTASSO



Futurismo a Stazzema in Alta Versilia. Il Cenacolo stazzemese e il Monte Procinto Futurista




Dopo aver riportato alla luce alcuni importanti documenti riguardo le esperienze dei futuristi in Versilia, grazie al Dott. Maurizio Bertellotti, ad Alfredo Barberi ed Ezio Marcucci, curatori della mostra IL CENACOLO STAZZEMESE (Stazzema-Casa del Berlingaio 12 luglio-17 agosto 2014), il blog dedicato alla Cucina futurista propone ai suoi lettori la scoperta di un’altra piccola scheggia di futurismo stavolta presente in Alta Versilia e, per l’appunto, a Stazzema, l’antico paese che ne fu il capoluogo. Qui, in quello che un tempo era un capitanato dei Medici, si costituì a partire dall’inizio dell’Ottocento una colonia di artisti che si riunì attorno a Filadelfo, Renzo e Nera Simi: artisti di ogni provenienza che scelsero come loro base operativa un albergo di Stazzema, chiamato ‘Procinto’ dai suoi proprietari (la famiglia Baldi-Pardini) in omaggio alla montagna che li sovrastava. A frequentare Stazzema e il suo albergo erano artisti di ogni specie e scuola. Ritrattisti, scultori, vedutisti, paesaggisti -dai nomi oggi importanti, come David Abrham Bueno (detto il ‘Pittorino’),Ugo Bertellotti, Piero Annigoni, Mario Parri e Leone Tommasi, ma anche scrittori, come Manlio Cancogni e l’immancabile ‘vagero’ Lorenzo Viani- si incontravano con i Simi in quello che oggi è stato chiamato Il Cenacolo Stazzemese. Non una scuola, quella del Cenacolo, neppure una categorizzazione uniforme e facile di tendenze pittoriche o artistiche omogenee -lo dimostrano i quadri esposti in mostra-, bensì l’incontro di un gruppo di artisti che a Stazzema trovarono l’ispirazione o si fecero soltanto rapire per un istante dalla folgorante bellezza delle Apuane. 
L’albergo ‘Procinto’, sin dall’inizio dell’Ottocento, godeva della fama di campo base per gli alpinisti e gli escursionisti che si accingevano ad arrampicare o a risalire le vette delle Apuane, lasciandosi alle spalle il mare della riviera della Versilia. Ezio Bertellotti di quei giorni ormai lontani, scrisse con echi che sanno di futurismo: «Siamo in piena villeggiatura e giungiamo al Ponte di Stazzema con la polverosa tramvia che tanti benefici ha apportato e apporta agli abitanti dell’intero Comune. Qui il forestiero maggiormente vi dovrebbe affluire, perché ci sono tutti i benefici necessari alla vita moderna. Prendiamo i nomi dei villeggianti, e più tardi, con l’aiuto del  Sign. Milani, attacchiamo la salita del Martinetto e passiamo fugaci sotto le cave magnifiche e interessanti del Piastraio ove il lavoro ferve  per l’attività dei proprietari signori Tonini e fratelli Pocai e svelti attraversiamo il paese delle Molina mentre la macchina rombante sale la strada di Stazzema. Bello spettacolo il piazzale del Saldone, il piazzale dei tigli che porta il nome di un nostro grande figlio, Filadelfo Simi capo della scuola di pittura dell’800». 
A Stazzema, l’albergo ‘Procinto’ divenne un avamposto culturale soprattutto negli anni Trenta. Sul quotidiano ‘La Nazione’ frequenti erano le caricature dei personaggi più in vista e alla moda che svernavano in Versilia e a Forte dei Marmi. Nel 1933 i villeggianti stazzemesi ebbero l’onore di essere immortalati in una storica vignetta e furono lo scultore di Valencia Juan Salvator, Manlio Cancogni di Roma, la pittrice danese Cau, il prof. Renzo Simi di Firenze, il sign. Landucci, la sig.na Monza Erminia di Pinzago attendente della Sig.ra Corinna Bruni, definita scherzosamente la «proprietaria del Monte Procinto» in quanto vedova dell’ing. Aldo Bruni, fondatore del CAI di Milano nel 1874 e pioniere dell’escursionismo apuano (a Bruni si deve l’apertura della Via Aristide Bruni, la prima via ferrata realizzata in Italia, e la prima ascensione documentata del Procinto nel 1879). Dei giorni in cui gli artisti si confondevano con gli alpinisti e i forestieri, e spesso assieme -come scrive Ezio Marcucci- si calavano nelle colorite tradizioni locali, l’albergo ‘Procinto’ ha lasciato un quaderno di memorie: un libro di ricordi che raccoglie la traccia del passaggio degli ospiti e soprattutto di quella degli artisti che dettero vita al Cenacolo stazzemese. Tra quegli appunti, tra le le dediche appena abbozzate, i ritratti a china, i versi scherzosi e le prose amare dedicate alla tragedia della prima guerra mondiale, il dott. Maurizio Bertellotti ha individuato e ci ha segnalato la presenza di un piccolo disegno, un bozzetto che ritrae il Monte Procinto in veste cubo-futurista e che noi orgogliosamente riproduciamo perché testimonia come anche sulla cima e sulle vette delle Apuane era giunto lo spirito rivoluzionario e all’avanguardia di Marinetti e del Futurismo.

Guido Andrea Pautasso


IL CENACOLO STAZZEMESE
Stazzema-Casa del Berlingaio 12 luglio-17 agosto 2014
Mostra e catalogo a cura di Alfredo Barberi – Ezio Marcucci – Maurizio Bertellotti

mercoledì 28 maggio 2014

MANIFESTO DELLA CUCINA FUTURISTA Storia e cronologia dei manifesti della gastronomia futurista di Guido Andrea Pautasso

MANIFESTO DELLA CUCINA FUTURISTA 
STORIA E CRONOLOGIA DEI MANIFESTI DELLA GASTRONOMIA FUTURISTA 



Chi ha veramente scritto il Manifesto della cucina futurista? Lo chef francese Jules Maincave o Filippo Tommaso Marinetti? 

Sareste in grado di immaginarvi l’espressione del volto di Filippo Tommaso Marinetti quando, il 1 gennaio 1913, sulle pagine della rivista satirica francese “Fantasio” lesse un curioso articolo intitolato “Le cubisme culinaire”, ovvero l’onirico e ironico manifesto scritto da Guillaume Apollinaire per consacrare il sublime incontro tra l’arte d’avanguardia e la gastronomia? Come aveva potuto il fondatore del Futurismo non pensare ad un simile connubio? Marinetti, con i suoi manifesti, sino ad allora aveva creduto di aver contemplato tutti i campi dell’espressione intellettuale ed artistica, spaziando dalla pittura alla musica, dal teatro alla scultura, dalla sessualità alla letteratura e alla filosofia. Quasi tutti i campi, sino ad allora. In effetti Marinetti si era lasciato sfuggire dal suo raggio d’azione la Gastronomia e soprattutto aveva lasciato ad Apollinaire il merito di essere il primo intellettuale a preoccuparsi di formulare una sua personale teoria gastronomica, immaginando una «cucina moderna» che avrebbe dovuto essere «scientifica», cioè «cubista», proprio come la pittura di Picasso e dei suoi amici. E, ancora, aveva permesso al critico francese di scrivere già nel 1912, sul settimanale lussemburghese “Le Passant”, dell’esigenza di dare vita ad una «cuisine nouvelle» precorrendo in assoluto i tempi.
In soccorso di Marinetti arrivò pochi mesi dopo, uno strano cuoco 'sperimentatore' di nome Jules Maincave. Nel settembre dello stesso anno infatti lo chef, intervistato da André Charpentier pubblicò, sempre su “Fantasio”, il famigerato manifesto mancante al programma futurista dal titolo inequivocabile: “Manifeste de la cuisine futuriste”. Maincave esortava gli chef alla sperimentazione gastronomica, rivendicando la necessità di «una cucina adeguata alla vita moderna e alle ultime concezioni della scienza». Il cuoco francese non restò con le mani in mano e aprì, seppur per breve tempo, un ristorante futurista sulla Rive Gauche a Parigi per far assaggiare le sue specialità, ovvero delle «rane riempite di una pasta di granchiolini rosa»; delle «uova affogate nel sangue di bue da servirsi su un purée di patate allo sciroppo di lampone»; dei «filetti di sogliola alla crema Chantilly, spolverati di lische pestate» e il «filetto di bue alla “Fantasio”», realizzato in omaggio alla rivista parigina che aveva pubblicato il suo coraggioso manifesto. Da quel momento cominciarono a scrivere di Maincave alcune riviste incuriosite dal suo spirito estremamente innovativo in cucina. La consacrazione al successo avvenne ovviamente in Francia grazie soprattutto all’articolo “Un cusinier futuriste” di Andrè Arnyvelde, pubblicato su “Les Annales Politiques et Littéraires” (2 novembre 1913), la popolare rivista parigina dedicata alla vita moderna diretta da Adolphe Brisson, fratello del direttore di “Le Figaro”, il giornale che nel 1909 lanciò il primo manifesto del futurismo di Marinetti. Nell’articolo Maincave sottolineò la sua modernità attaccando «les deux Bastilles de la cuisine moderne: le mélanges et les aromes» e, al pari del futurista Carlo Carrà, autore del manifesto “Pittura dei suoni, rumori, odori” (1913), invitò ad associare alle opere d’arte, e quindi alle creazioni gastronomiche, realizzate con azzardati accostamenti di sapori agrodolci, altre particolari referenze sensoriali.
Gli esperimenti gastronomici di Maincave continuarono nonostante lo scoppio della prima guerra mondiale. In trincea lo chef-soldato propose ai suoi commilitoni piatti saporiti, corroboranti, dai nomi e dalle ricette assolutamente futuriste, come le famigerate beefsteaks d’attaque à la gnole. La sua carriera fu tuttavia stroncata da un colpo di obice di grosso calibro sparato dai tedeschi sulla sua cucina da campo. La sua fama di cuoco futurista era arrivata anche oltre oceano, come dimostra l’articolo del “New York Times”, pubblicato il 12 febbraio del 1921: “Latin Quarter Chef Among War Heroes. Visitors returning to Paris have just learned of the fate of Jules Maincave”, e delle sue gesta culinarie e militari ne parlarono nel prestigioso Almanach de Cocagne pour l’an 1922 Dédié aux vrais Gourmandes et Aux Francs-Buveurs. Nel saggio di Curnonsky (pseudonimo di Maurice Edmond Saillant) e Gaston Derys, Gaietés et Curiosités Gastronomiques del 1933, la cucina di Maincave fu analizzata con particolare attenzione alla sua concezione di food designer in un capitolo tuttavia erroneamente dedicato alla cucina cubista. 
A parte l’originalità delle creazioni di Maincave, fu però alcuni anni dopo la meno nota Irba Futurista (forse lo pseudonimo scelto dalla poetessa parolibera Irene Bazzi) a sottolineare, nel manifesto “Culinaria futurista” del 1920 (pubblicato su “Roma Futurista” e sul giornale di Sarno “La Pietra”), l’esigenza di una estetica delle portate e dell’uso del colore nelle suppellettili. Mettendo da parte la visione organolettica della cucina suggerita da Maincave, la Irba futurista concentrò la sua attenzione sulla forma e sulla mise en place non convenzionale delle vivande, «dando ai cibi delle forme simmetriche, o anche asimmetriche, ma sempre ben definite e possibilmente architettoniche, evitando soprattutto le ‘salse in cui nuotano delle incognite varie’». 
Il manifesto della “Culinaria futurista” invitava ad abolire «il cosiddetto servizio completo. (Per 12 o 24 persone di porcellana bianca colla riga bleu o d’oro, tanto caro ai borghesi)», a godere la vita con tutti i sensi e ad «adorare il colore», tanto da volerlo partecipe della vita quotidiana. L’imperativo della ‘Irba futurista’ era «distruggere la monotonia ‘del pesce in bianco servito sul piatto bianco’, delle vivande che sembrano annoiarsi sull’uniformità dei piatti pedantescamente uguali». E così, con poche parole profetiche, questa misteriosa ‘cuoca’ attratta dalla rivoluzione artistica marinettiana, chiudeva il suo messaggio destinato alla «massaia futurista»: «La nostra tavola deve ridere di gioia nella diversità dei rosso-giallo-verdi-azzurro dei piatti grandi-piccoli-ovali-quadri-tondi, che sembreranno ballare una sinfonia gustosa che molto aggradevolmente, stuzzicando al massimo il nostro appetito, vuoteranno il loro contenuto nel nostro ‘dilettato’ non dilatato stomaco». 
A teorizzare e ad organizzare la prima autentica rivoluzione culturale, antropologica e gastronomica del sistema alimentare italiano e moderno è stato però Filippo Tommaso Marinetti che volle dare vita ad «una alimentazione nuova, rallegrante, ottimista, eccitatrice dell’ingegno, poco costosa». E la battaglia cominciò con la ristampa nel 1927 del “Manifesto” di Maincave. 
In molti erroneamente attribuiscono a Marinetti la paternità del manifesto, dimenticandosi tuttavia la prima stesura del cuoco francese. Il “Manifesto della cucina futurista” in Italia apparve per la prima volta sulla “Fiera Letteraria” il 22 maggio del 1927: Marinetti vi appose la firma scrivendo una premessa alle teorizzazioni che furono però di Maincave, raccontando la vera nascita di quel prezioso ma dimenticato manifesto: «Alla vigilia della guerra vi fu un vivo clamore di polemiche sulla stampa francese pro e contro le teorie culinarie futuriste di un notissimo e abilissimo cuoco francese Jules Maincave. Il mio incontro e la mia conversazione con questo geniale artista del palato dovevano essere seguiti dal lanciamento del suo manifesto della cucina futurista perfezionato e completato. Questo lanciamento non avvenne perché Maincave arruolatosi e divenuto cuoco del 90.Reggimento fanteria in linea nelle Argonne non potè più occuparsi di propaganda». Ma di Maincave e della sua drammatica fine in trincea abbiamo già scritto. Il “Manifesto della cucina futurista” ritornò ad essere pubblicato nel maggio del 1930 su “La Cucina Italiana”, il “Giornale di gastronomia per le famiglie e per i buongustai” fondato da Adelia (Delia) e Umberto Notari, in una ‘nuova’ versione del testo, rivisto in maniera sostanziale da Marinetti in chiave italiana e patriottica. Il 28 dicembre dello stesso anno venne poi proposto ai lettori della diffusissima “Gazzetta del Popolo” di Torino. Allora Marinetti non perse l’occasione per lanciare la sua teoria del «pranzo perfetto» che esigeva: «1. un’armonia originale della tavola (cristalleria vasellame addobbo) coi sapori e i colori delle vivande. 2. L’originalità assoluta delle vivande. 3. L’invenzione di complessi plastici saporiti, la cui armonia originale di forma e di colore nutra gli occhi ed ecciti la fantasia prima di tentare le labbra». La gastronomia del movimento futurista, secondo il suo fondatore, avrebbe dovuto dunque essere creata grazie a «complessi plastici saporiti» per nutrire gli occhi; ed aveva il compito di eccitare «la fantasia prima di tentare le labbra», oltre a richiedere l’abolizione della forchetta e del coltello per esaltare «il piacere tattile prelabiale» e riuscire, in questa maniera, a non contaminare il sapore dei cibi proposti. 
Nel 1931 il manifesto riapparve a gennaio con il titolo “F.T. Marinetti vient de lancer le manifeste de la cuisine futuriste” sulla rivista francese “Comoedia”. All’epoca si tenne Il grande banchetto futurista di Parigi, evento organizzato in concomitanza con l’‘Esposizione coloniale’ nella capitale francese, manifestazione nata per festeggiare il centenario della conquista dell’Algeria. La cena fu organizzata in grande stile nel ristorante del Padiglione italiano, progettato e costruito dall’architetto Guido Fiorini con delle linee futuriste ultramoderne: la sala da pranzo venne decorata con otto enormi pannelli dipinti dall’aeropittore Enrico Prampolini e i commensali poterono assaggiare dei piatti straordinari: «Les grandes eaux (du peintre Prampolini); Carrousel d’alcool (du peintre Prampolini); Hors d’oeuvre simultanée (du peintre Fillia); Excitant gastrique (du peintre Ciuffo); Préface variée (du peintre Prampolini); Toutriz (du Peintre Fillìa); Les îles alimentaires (du Peintre Fillìa); Equatore+Polo-Nord (du peintre Prampolini); Aéromets, tactile, bruitiste et parfumé (du Peintre Fillìa); Poulet d’acier (du peintre Diulgheroff); Cochin excité – à surprise (d’un primitif du 2000); Viandesculptèe (du Peintre Fillìa); Machine à goûter (du peintre Prampolini); Paradoxe printanier (du peintre Prampolini); Gateauélastique (du Peintre Fillìa)». 
Seguendo un ordine meramente cronologico, il manifesto scritto dal solo Marinetti fece nuovamente la sua comparsa a febbraio del 1931 sul “Giornale di Sicilia” e poi con il titolo emblematico “Pastasciutta, blocco pesante (Polemica di S.E. Marinetti)” su “Gli Oratori del Giorno. Rassegna mensile d’eloquenza”, rivista, diretta dall’onorevole giurista e letterato Titta Madia, che lasciò ampio spazio agli insoliti interventi dei futuristi in merito alla loro visione innovativa e provocatoria della società moderna. Lo stesso manifesto riapparve il 22 novembre del 1931 su “Chiavari Anno X”, il numero unico pubblicato in occasione della visita del fondatore del futurismo nella cittadina ligure dove si tenne una celebre ‘Giornata Futurista’, cominciata con l’inaugurazione della ‘Mostra d’Arte Futurista’, a cui fecero seguito il ‘Circuito di Poesia’ -vinto dal triestino Bruno Sanzin-, la conferenza di Marinetti sul “Futurismo mondiale”, e l’Aeropranzo organizzato all’‘Hotel Negrino’, al quale parteciparono più di trecento persone. 
In seguito una parte del testo definitivo del “Manifesto della cucina futurista” -ovvero quello redatto dal solo Marinetti- venne inserita nella “Lista vivande” del ristorante futurista torinese denominato ‘Taverna Santopalato’: il manifesto trovò posto nel famoso menu, rilegato con una copertina in alluminio -della Ditta Guinzio & Rossi-, stampato espressamente per gli invitati alla sera dell’inaugurazione della futuristissima ‘Taverna Santopalato’. Ancora il “Manifesto della cucina futurista” venne riprodotto nella sua interezza e nella versione à la Marinetti ne La cucina futurista del 1932, il libro che sancì definitivamente il passaggio della gastronomia dei futuristi alla Storia. 
Ad oggi il “Manifesto della cucina futurista” contenuto nel libro di Fillìa e Marinetti, è stato tradotto in inglese, in francese, in tedesco, in spagnolo e in norvegese. Mentre all’epoca del suo lanciamento, l’Agenzia A.L.A. (fondata dal segretario del ‘Movimento Futurista’ Luigi Scrivo) diffuse in uno dei suoi volantini informativi del 1932 la notizia -mai confermata- della traduzione in ungherese sia del “Manifesto della cucina futurista”, sia del libro dedicato dai futuristi alle loro fantastiche innovazioni gastronomiche. 

Guido Andrea Pautasso

Bibliografia
Apollinaire Guillaume, “Le cubisme culinaire“,“Fantasio“, 1 janvier 1913.
Arnyvelde André, “Un cusinier futuriste”, “Les Annales Politiques et Littéraires”, 2 novembre 1913.
Charpentier André, “La cuisine futuriste”, “Fantasio”, n.171, Paris 1 septembre 1913.
Irba futurista, “Culinaria futurista”, “Roma futurista”, n.83, Roma 9 maggio 1920.
Irba futurista, “Culinaria futurista”, “La Pietra”, anno II, n.18, Sarno, agosto 1920
Maincave Jules, “Manifesto della cucina futurista”, “La Fiera Letteraria”, anno III, n.21, Milano 22 maggio 1927.
Marinetti Filippo Tommaso, “Manifesto della cucina futurista”, “La Cucina Italiana. Giornale di gastronomia per le famiglie e per i buongustai”, n.5, Milano, maggio 1930.
Marinetti Filippo Tommaso, “Manifesto della cucina futurista”, “Giornale di Sicilia”, 2 febbraio 1931.
Marinetti Filippo Tommaso, “F.T. Marinetti vient de lancer le manifeste de la cuisine futuriste”, “Comoedia”, Paris 20 janvier 1931.
Marinetti Filippo Tommaso, “Pastasciutta, blocco pesante (Polemica di S.E. Marinetti)”, “Gli oratori del giorno. Rivista Mensile d’Eloquenza ”, anno V, n.9, Roma settembre 1931.
Marinetti Filippo Tommaso, “Manifesto della cucina futurista”, “Chiavari Anno X”, Chiavari, 22 novembre 1931.
Marinetti Filippo Tommaso, Santopalato. Taverna Futurista Santopalato, via Vanchiglia 2 – Torino. Inaugurata da S.E. Marinetti, decorata da Diulgheroff e Fillia. Realizzazione della cucina futurista italiana. Ambienti di artisti novatori. Proprietari: Giachino e Bosio, Torino, Anonima Roto-Stampa, 1931. 
Marinetti Filippo Tommaso, “Nuvole saporite. Il grande banchetto futurista di Parigi” in AA.VV., Premio letterario Viareggio, Roma, Grafia, 1931.
Marinetti Filippo Tommaso e Fillia, La cucina futurista, Milano, Sonzogno, s.d. (ma 1932).
Pautasso Guido Andrea, Epopea della cucina futurista, Cremona, Galleria Daniela Rallo, 2009.
Pautasso Guido Andrea, “Prove di aerocucina. Marinetti e il sogno utopico della cucina futurista”, “Charta”, anno 21, n.119, gennaio-febbraio 2012.