EPOPEA DELLA CUCINA FUTURISTA

La cucina futurista, regolata come il motore di un idrovolante per alte velocità,
sembrerà ad alcuni tremebondi passatisti pazzesca e pericolosa:
essa invece vuol finalmente creare un'armonia tra il palato degli uomini e
la loro vita di oggi e di domani.
Filippo Tommaso Marinetti

«Mangia con arte per agire con arte»
, sosteneva Filippo Tommaso Marinetti, il primo a rivoluzionare secondo i principii della cucina futurista la gastronomia in Italia e nel mondo. Per scoprire la storia e i segreti della cucina degli artisti futuristi, leggete il volume di Guido Andrea Pautasso, Epopea della cucina futurista, pubblicato (in 300 copie numerate) dalle Edizioni Galleria Daniela Rallo di Cremona.

www.guidoandreapautasso.com
http://vampirofuturista.blogspot.it/

Traduzione in lingua russa di Irina Yaroslavtseva

Переводчик: Ярославцева Ирина



domenica 27 maggio 2018

Marinetti Boccioni pranzo futurista Reggio Calabria cucina futurista Guido Andrea Pautasso


MARINETTI E IL MENU DI 
UN PRANZO (POCO) FUTURISTA

IN MEMORIA DI BOCCIONI




Domenica 2 aprile 1933. Filippo Tommaso Marinetti, leader del movimento futurista, reduce dal successo della pièce teatrale I prigionieri e l’amore (1) a Leopoli, in Ucraina, e poi in Polonia, a Vienna, Roma Milano e Bolzano (2), raggiunse Reggio Calabria per celebrare le solenni Onoranze Nazionali a Umberto Boccioni tenendo una conferenza al Teatro Politeama Siracusa. L’apertura delle celebrazioni di Boccioni a Reggio Calabria, città natia del padre della scultura italiana moderna, fu preceduta, due anni prima, dall’invio da parte dei futuristi siciliani Guglielmo Jannelli e Luciano Nicastro di una lettera aperta indirizzata al commendator Muritano, podestà del capoluogo reggino, e a Gildo Ursini, presidente dei Sindacati Intellettuali di Reggio Calabria, per «intitolare una bella strada di Reggio al nome di Boccioni», e dalla costituzione del reggino Gruppo Futurista Umberto Boccioni (3), fondato da due artisti studenti di ingegneria Principio Federico Altomonte e Saverio Liconti, a cui aderirono il poeta Nino Pezzarossa, gli universitari Alberto Strati e Antonino detto Nino Tripodi (poi ardente fascista e nel dopoguerra tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano), oltre al poeta Mario Del Bello, il  musicista Lino Liviabella, l’attore Gastone Venzi e Aliquo Lenzi, autore di uno studio proprio su Boccioni (4). 



La conferenza di Marinetti, prevista per il 2 marzo, come preannunciato sulla rivista “Futurismo”, fu posticipata a domenica 2 aprile, e assieme al leader del movimento parteciparono il pittore messinese Giulio D’Anna, la poetessa catanese Adele Gloria e i calabresi Enzo Benedetto e Geppo Tedeschi. Alla conferenza fece seguito un Banchetto futurista tenutosi presso l’Albergo Centrale Miramare (hotel situato nello storico palazzo Miramare, tra via Fata Morgana e il centralissimo Corso Vittorio Emanuele, oggi in disuso). Come si evince dalla lista delle vivande, il pranzo al Miramare fu in realtà un convito ufficiale tutt’altro che sperimentale e futurista, e per questo è stato sino ad ora dimenticato o forse volutamente escluso dagli studi dedicati alla gastronomia dei futuristi. La motivazione di
tale dimenticanza trova una spiegazione logica solamente grazie al rinvenimento della originale lista delle vivande, tra l’altro autografata dallo stesso Marinetti. Veniamo alla lista delle vivande: ai commensali vennero serviti Fusilli di Napoli al sugo, Pesce lesso con salse (salse purtroppo dalla natura ignota) e Filetto alla giardiniera (ovvero filetto di manzo, accompagnato da striscioline di melanzane e di peperoni, cotto al forno); per dolce venne proposto il misterioso Gateau Miramare a cui fecero seguito Frutta allo sciroppo (della semplice frutta sciroppata) e Caffè. La lista delle vivande venne stilata molto tempo prima che il pranzo avvenisse, dato che il menu dell’evento, a parte la firma in calce di Marinetti, riporta la data del 2 marzo 1933.


Guido Andrea Pautasso
 
1) Si fa riferimento non tanto alla nota pièce I Prigionieri già pubblicata in Prigionieri e Vulcani (Vecchi Editore, Milano 1927), bensì alla nuova versione dell’opera intitolata appunto I Prigionieri e l’amore, che debuttò al Teatro Eden a Milano nel 1927 con le scenografie appositamente realizzate da Benedetta. A precisarlo è Dario Tomasello nel saggio Oltre il Futurismo. Percorsi delle avanguardie in Sicilia. Con lettere inedite di F. T. Marinetti, L. Russolo, P. Buzzi, C. Alvaro, Bulzoni Editore, Roma 2000, p. 192.

2) Lo scrisse in una lettera spedita al futurista Ruggero Vasari, datata Roma 7/ IV/ 1933 ora riprodotta nel saggio di Dario Tomasello, Oltre il Futurismo, cit. p. 192.

3) Informazioni sul Gruppo sono rintracciabili in Claudia Salaris-Luigi Tallarico, “Calabria” in Futurismo e Meridione, a cura di Enrico Crispolti, Electa Napoli, 1996, pp. 347-366 e nel volume Calabria futurista 1909-1943. Documenti, immagini, opere, a cura di Vittorio Cappelli e Luciano Caruso, Rubettino Editore, Soveria Mannelli 1997.

4) Aliquo Lenzi, Umberto Boccioni, s.e., Reggio Calabria 1932.






ALLA RIPRODUZIONE DELLA LISTA VIVANDE DEL BANCHETTO FUTURISTA DI REGGIO CALABRIA E DELLA TESSERA PER ACCEDERE ALLA CONFERENZA DI MARINETTI AL TEATRO POLITEMA SIRACUSA FANNO SEGUITO ALCUNI DOCUMENTI APPARSI SULLA RIVISTA “FUTURISMO”





ONORANZE A UMBERTO BOCCIONI NELLA 
NATIVA SUA TERRA CALABRESE




Nel marzo del 1931 i futuristi siciliani Guglielmo Jannelli e Luciano Nicastro indirizzavano la seguente lettera aperta al Podestà di Reggio Calabria. La lettera riprodotta da moltissimi giornali ebbe l’adesione di tutti gli intellettuali calabresi.

E a distanza di due anni proprio mentre questo numero di Futurismo vede la luce - concretate col concorso del cavaliere Gildo Ursini Presidente dei Sindacati Intellettuali di Reggio Calabria e del Podestà Comm. Muritano che con squisito pensiero ha voluto intitolare una bella strada di Reggio al nome di Boccioni - si svolgono a Reggio Calabria le onoranze a Boccioni con un discorso celebrativo tenuto da S.E. Marinetti al Politeama Siracusa, e con un corteo di cittadini e di autorità che si reca a murare la targa sulla via dedicata a Boccioni. Futurismo si associa alle onoranze calabresi a Boccioni riproducendo la lettera di Jannelli e Nicastro che è un lirico omaggio meridionale alla grandezza del genio futurista di Umberto Boccioni.



Ecco la lettera:




Ill.mo sig. Podestà di Reggio Calabria

Voi sapete che a Roma sarà intitolata al nome di Umberto Boccioni una delle tante nuove vie; voi sapete che in Romagna — dove vive tutt’ora il padre di Boccioni — si preparano solenni onoranze, e un monumento all’iniziatore, affermatore, creatore della modernità dinamica in pittura e scultura, all’unico genio cioè dell’arte plastica d’oggi; a colui che fu nello stesso tempo, a fianco di F.T. Marinetti, l’annunziatore chiarissimo ed esplicito di un’epoca politica che poi si precisò «fascista».

Perché Boccioni fu pittore, scultore, letterato, poeta, soldato volontario nella grande guerra in cui morì; ma l’ultimo periodo della sua vita fu soprattutto legato all’urgenza del nostro intervento in guerra e al risveglio guerresco della gioventù italiana.

Boccioni aveva scatenato nelle sue tele le nuove inebrianti velocità liberando finalmente la sensibilità italiana dal Museo statico e dal pauroso primitivismo.

Ma lavorando con un ardore diabolico e divino, massacrando il suo fragile corpo nervoso; scolpendo a pugni la faccia dei denigratori del Futurismo e dell’Italia. Nuova; inneggiando alla guerra e facendola — dopo avere creato quelle sue potenti opere che rimangono tutt’ora le punte estreme dell’arte plastica mondiale moderna — Boccioni aveva anche insegnato ai giovani, in un periodo di fiacchezza, di scetticismo e di demagogia, a creare ed amare quella nuova italianità artistica e politica, destinata a dominare il mondo, che è oggi in atto.

Anima adusata ai più vasti e sconvolgenti pensieri: anima oceanica per i suoi sogni, le sue aspirazioni e le sue realizzazioni. Boccioni era il tipo del vero guidatore e del vero conquistatore. Italiano, insomma, di quella italianità che il nostro tempo desidera ora trarre, senz’altro indugio, dalla grande varietà delle regioni nostre, la quale non è un ostacolo, ma una straordinaria ricchezza, per l’unità ideale della nostra stirpe.

Tutti sanno che Boccioni è morto in guerra, per una fatale caduta da cavallo.

Ma vogliono essere proprio i Reggini d’oggi a lasciare ai posteri l’incarico di indagare in quale città sia nato Umberto Boccioni?

Per l’appunto oggi in cui nessuno più in Italia — né dei vecchi pittori accademici né nei novelli pittori futuristi — si sentirebbe onorato se non andasse di tanto in tanto a deporre un lauro ai pie’ della statua ideale innalzata dal tempo alla memoria del nostro grande amico futurista, o a sfogliare — per sentirsi un po’ rinfrescare l’anima e la mente — la «Opera Completa» di lui che l’editore Campitelli di Foligno ha ripubblicata l’anno scorso con un’apertissima prefazione lirica di Marinetti, e preceduta da un ritratto sotto cui è segnato: «Umberto Boccioni — nato il 19 ottobre 1882; morto il 14 agosto 1916»?...

Ma dove dunque è nato Umberto Boccioni?

Noi che fummo amici di lui e fratelli delle sue prime battaglie in qualcuna delle nostre gite a Reggio abbiamo potuto vedere un Atto che col numero 1300 fa parte del «Registro delle nascite del Comune di Reggio Calabria per l’anno 1882» e dal quale risulta che «Boccioni Umberto di Raffaele e di Forlani Cecilia è nato in Reggio Calabria il giorno 19 del mese di ottobre dell’anno 1882».

Nella bella Reggio risorta — dove ogni pietra ricorda che se la sventura può abbattere, nulla essa però può ‘riuscire a togliere allo spirito — noi che conosciamo di quale tempra siano l’ingegno e l’animo della rude e forte e generosissima Calabria — ci siamo guardati un po’ smarriti e ci siamo domandati — non vedendo apparir segnato in nessun luogo di codesta bella città il nome del vostro e nostro Boccioni: «Ma, dunque, i Reggini ignorano che Umberto Boccioni è nato in una delle loro case?».

La conoscenza di tale fatto basterebbe, signor Podestà, ad invogliare non Reggio soltanto, ma la Calabria tutta a farsi promotrice di solenni onoranze alla memoria di un con-terraneo così eccezionale.

Ma vi è di più.

Nella sua vita avventurosa (e avventurosa non propriamente alla maniera del Cellini) — Boccioni ebbe sempre un vivo ricordo nostalgico della Calabria. Lungo la Senna, dove lo portò il suo bisogno di lavoro e d’arte — e sui fiumi della piccola Russia dove egli diciottenne portò in giro la sua anima inquieta di creatore innamorato di ogni originalità — Boccioni non dimenticò mai questo estremo lembo della penisola sulle cui rive aveva sentito da fanciullo le prime forti impressioni di una tipica natura futurista, che, con le sue albe e i suoi tramonti, richiama alla fantasia di un artista qualcosa di omerico e di favoloso, e che si presta, nello stesso tempo, alle più libere interpretazioni liriche, al più acceso dinamismo, a un trionfo tumultuoso di colori variabilissimi ed eterni.

Boccioni sentiva l’orgoglio della sua origine meridionale: e lo manifestava nei suoi scritti, dove non si ritroverebbe certamente tutta quell’ansia dell’indagare e del costruire, del rivedere con occhio linceo la storia della pittura; non si ritroverebbe certamente tanta forza d’espressione e tanto bisogno di far quadrare il pensiero in giudizi ben organici definitivi e precisi, se qualcosa della regione di Campanella non fosse rivissuta nella sua anima e nel suo carattere.

Alla Calabria Boccioni sognava di tornare come al più felice luogo di ispirazione. E di questo suo desiderio parlò caldamente una sera a noi su un palcoscenico di Napoli, da dove aveva allora lanciato quel suo «Manifesto ai pittori meridionali» che era un netto programma rivoluzionario e, in anticipo, uno specchio tersissimo dei nostri tempi non solo artistici ma politici.

Il destino che, uccidendolo a 34 anni, gli impedì di compiere la sua Opera — già formidabile e già compiuta nelle sue vaste linee e nelle sue infinite potenzialità — gli impedì anche di realizzare questo suo desiderio sentimentale. E ci privò forse di un capolavoro: poiché egli che vagheggiava nel 1915 dei «complessi plastici» senza cornici, fatti di vapori colorati e di fasci di luci elettriche — avrebbe certamente trovato nelle colorazioni e nelle miscele tumultuose piene di esplosioni dorate dei meriggi calabresi sullo Stretto, di che creare un’opera ultracalabrese e ultrafuturista, cioè ultradinamica e suggestiva.

È appunto perché la memoria e il nome di Boccioni possano tornare nella terra di Calabria, che noi, amici meridionali di lui, oggi Vi chiediamo, signor Podestà, che Reggio Calabria si faccia iniziatrice di onoranze tanto più alte e significative quanto più tempo immemore è trascorso dalla morte del grande italiano.

Noi chiediamo che Reggio ricordi ai propri cittadini e agli italiani tutti Umberto Boccioni e intitoli al suo nome una delle principali vie.

Si dia occasione alla forte e nobile Calabria di esprimere pubblicamente la propria gioia per aver saputo di quale città è figlio Boccioni; e si consenta presto ai Calabresi di accorrere in un teatro per udire la voce di Marinetti il quale saprà adeguatamente glorificare il nome e l’opera di Boccioni, e precisare tutta l’importanza che questo nome ha per l’Italia di oggi e per l’arte mondiale moderna.



Luciano Nicastro – Guglielmo Jannelli



Luciano Nicastro-Guglielmo Jannelli, “Onoranze a Umberto Boccioni nella nativa sua terra calabrese, “Futurismo”, anno II, n. 27, 12 marzo 1933.



Le onoranze a Umberto Boccioni già fissate per il 12 marzo saranno procrastinate di qualche giorno trovandosi in tale momento S. E. Marinetti a Leopoli dove la sera dell’11 si è rappresentato per la prima volta il suo dramma I Prigionieri, come può leggersi in altra parte di questo stesso numero del nostro giornale.



UMBERTO BOCCIONI CELEBRATO DA 
MARINETTI A REGGIO CALABRIA




Quest’oggi S.E. Marinetti celebra a Reggio Calabria il grande genio futurista UMBERTO BOCCIONI scomparso nella luminosa pienezza della sua vitalità creativa. La città che diede i natali a uno dei più rappresentativi precursori del nostro movimento ha così il giusto e dovuto onore di dare inizio a quella celebrazione boccioniana che culminerà nella inaugurazione del grande salone di Milano destinato ad accogliere tutta la produzione artistica di avanguardia e che si fregerà col nome dal motto F U T U R I S T A evocato dalla parola liricamente da S.E. Marinetti il fulminoso spirito di Umberto Boccioni tornerà a rivivere nel limpido cielo e nel vivido sole della Calabria  T R I O N F A T O R E



Anonimo (ma Mino Somenzi?), “Umberto Boccioni celebrato da Marinetti a Reggio Calabria”, “Futurismo”, anno II, n. 30, 2 aprile 1933.



UMBERTO BOCCIONI E LO STRETTO DI MESSINA



Le onoranze nazionali che il Comune di Milano tributerà a Umberto Boccioni sotto l’alto patronato di Benito Mussolini e l’ammirazione entusiasta che le sue opere suscitano sempre più nelle avanguardie artistiche di Parigi, Berlino, Varsavia, Vienna, Praga e Budapest da me visitate recentemente, mi incita-no a ricercare il focolare generatore della sua ispirazione originalissima. Alla vigilia della conflagrazione europea, una signora milanese dilettante di chiromanzia intuiva prodigiosa-mente nella sua forte mano di scultore una mortale caduta da cavallo, sinistramente armonizzata colle muscolature tese dei quadrupedi da traino che egli aveva studiate lungo la Senna e immortalate nel famoso quadro «La città che sale». Il viaggio a Mosca Odessa e nel Caucaso, intrapreso da lui a 18 anni, come insegnante di pittura di una ricca famiglia russa, non colorò certo la sua fantasia ma vi apri dei profondi orizzonti di dolore gelato che furono poi fortunatamente colmati dal biondo goliardico sole ottimista del futurismo italiano. In realtà la poliveggente e tentacolare sensibilità plastica di Boccioni, questo errante romagnolo di genio, è stata determinata dal paesaggio dinamico dello Stretto di Messina, sentito da pupo a Reggio Calabria e da giovinetto a Messina e a Catania.

Evidentemente i suoi nervi artistici bevvero poi la musicale verde atmosfera romana di Villa Borghese col suo fluido oro vibrante che inebriava l’alto navigante ballatoio del grande pittore futurista Giacomo Balia suo maestro. Furono anche suoi maestri i fumanti camini della Milano di vent’anni fa tutta travagliata dalle prime velocità industriali, tranviarie, automobilistiche e aeree.

Occorreva però l’ampiezza di correnti e magie mediterranee che forzano drammaticamente il varco di Scilla e Cariddi, fra l’orgoglio esuberante dell’Etna e l’insidia dei terremoti improvvisi, per scatenare in Boccioni quella sovrumana volontà di fissare plasticamente il moto assoluto e il moto relativo dell’universo.



Non alludo qui a paesaggi presi come modelli e copiati, ma a paesaggi trasfigurati o meglio a paesaggi goduti come eccitanti lirici dell’istinto coloristico e volumetrico di un artista eccezionale.

In un articolo della Gazzetta del Popolo io dimostrai come gli strapiombi di Capri, incensati dai rimbalzanti scoppi di una bianca schiuma filmante, abbiano generato in Gustavo Doré le altissime minacciose pareti del suo Inferno dantesco coi pericolosi sentieri a picco sui fumi globulari delle bolge vampanti. Come Gustavo Doré non riprodusse nelle sue opere l’isola di Capri così Umberto Boccioni non riprodusse nelle sue lo Stretto di Messina: ma questo misteriosamente divenne la policroma simultaneità elastica di linee-forza del suo capolavoro: «Il gioco del Calcio».

Da pupo a Reggio Calabria e da giovinetto a Catania e a Messina egli conobbe intimamente il capriccio dei venti, la varietà delle navi, l’ambizione romantica delle nuvole, le morbosità perfide e maligne delle correnti marine pronte a prodigare specchi femminili o a rabbuiarsi in combutta coi più loschi e truci uragani. Certo gli furono amici i limoneti e gli aranceti con le loro masse di verde variegate d’oro giallissimo sul turchi-no intenso del mare. Si inerpicò per i fianchi delle montagne che armonizzano bizzarramente la selvaggeria africana dei fichi d’India con la delicatezza dei fogliami dell’olivo, il candore delle spiagge e l’ombra smeraldina dei piroscafi all’àncora.

La storia dei terremoti e dei maremoti piena di stragi e di eroismo gli era popolarmente distribuita in reiterate lezioni di temerità e di spavaldo disprezzo della morte. Dovunque la prudenza e la saggezza calcolatrice erano spazzate dal veemente soffio lungo dello Stretto e dalle sue nuvole veloci rosse tutte impennacchiate di scintille vulcaniche. Così a vent’anni Boccioni aveva appreso da quelle terre dure e soavi, bellicose e cangianti amiche d’ogni catastrofe, quell’«amore del pericolo» che costituì uno dei principii del primo manifesto futurista e animò gli interventisti milanesi come lui decisi a osare, senza preparazione militare, la più grande guerra e a morire per l’Italia.



Come lo Stretto di Messina, come i monti Calabri e come il vasto sistema di vulcani accesi e spenti che si chiama l’Etna, «L’elasticità», «Gli stati d’animo», «Materia», «Muscoli in velocità» e «Dinamismo di un corpo umano» contengono e insegnano l’ebrezza di tutti i coraggi, il divertimento di tutte le spirali, lo slancio verso le più lontane stelle, il più appassionato avvinghiamento di corpi in amore, le gare pazze di muscoli ruote ali, il furore di calorie e di idee nella carne dell’uomo e nel metallo dei motori.

Senza l’ottimismo imperativo e il furore dinamico di quel paesaggio io penso che Boccioni non avrebbe forse potuto ideare e precisare le soluzioni del misterioso e affascinante problema che si chiama «Dinamismo Plastico».



Filippo Tommaso Marinetti, “Umberto Boccioni e lo Stretto di Messina”, “Futurismo”, n.  37, 21 maggio 1933.