Giorgio De Chirico: una gita a Lecco.
Guido Andrea Pautasso vi invita a scoprire
il segreto della gastronomia amata dal
padre della pittura Metafisica
Dopo gli studi e
le analisi sulla Cucina futurista e gli esperimenti gastronomici di Marinetti e
i suoi sodali futuristi, proponiamo ai lettori del blog www.cucinafuturista.blogspot.com
una incursione straordinaria dedicata ai gusti di Giorgio De Chirico, il padre
della pittura metafisica approfittando soprattutto della mostra che
inaugurerà sabato 13 giugno, a Palazzo delle Paure (Lecco),
intitolata GIORGIO DE CHIRICO: UNA GITA A LECCO. Esperienze
sensoriali e multimediali da un racconto del maestro della metafisica promossa
da Comune e Camera di Commercio di Lecco con il sostegno di
Regione Lombardia e il patrocinio di Expo2015.
A partire da uno
scritto del 1939 di Giorgio de Chirico pubblicato su “Aria
d’Italia” con titolo “Una gita a Lecco” sarà proposta al pubblico
una narrazione visiva ed uno straordinario allestimento per far conoscere il
testo attraverso il quale l’artista ha raccontato alcune specificità del
territorio lecchese e la sua passione per la cucina.
L’esposizione ricostruirà
il viaggio compiuto da Dudron/De Chirico che, partendo da Milano
a bordo di una macchina performante guidata da una valchiria moderna, si reca a
Lecco con il pretestuoso scopo di mangiare delle lumache. Ambientato sotto
un temporale, ricco di riferimenti letterari e territoriali, il racconto è una
riflessione sulla arte, sulla pittura e soprattutto sulla maniera pittorica.
La mostra
comprenderà alcuni capolavori originali e opere significative di Giorgio de
Chirico come l’Autoritratto
nello studio di Parigi (prestato dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e
Contemporanea di Roma), alcuni preziosissimi libri pubblicati dall’artista come
le prime edizioni di Hebdomeròs e Un’avventura di
Monsieur Dudron (che noi presentiamo
straordinariamente anche sul nostro blog), oltre a un'installazione
multimediale che tradurrà in immagini e in esperienze sensoriali l’omaggio che
il Pictor optimus
ha voluto rendere alla città di Lecco.
(Il visitatore
riceverà all’ingresso copia del testo originale e una sorta di navigatore che
lo guiderà tra i quattro macrotemi individuati e sviluppati in quattro aree
espositive connesse e sequenziali: il viaggio, le lumache, Lecco e il
territorio, la tempesta. Ogni macrotema verrà poi illustrato e rappresentato
iconograficamente con una serie di riferimenti presi dal mondo della
letteratura e della mitologia, della pittura, della storia, della cultura. Una
grande parete stampata digitalmente raccoglierà poi immagini e testi, alcuni
schermi offriranno riproduzioni sonore e cinematografiche, verranno proposte
percezioni olfattive degli elementi narrativi del testo. Infine ogni parete
avrà una connotazione cromatica specifica correlata al tema in oggetto).
A corredare
l’esposizione, eventi e conferenze:
– Palazzo delle Paure:
approfondimenti su de Chirico scrittore
– Politecnico di Milano: l’iconografia di Lecco e il suo futuro turistico e terziario
– Camera di Commercio di Lecco: la ristorazione e le tematiche agro-gastronomiche
– Politecnico di Milano: l’iconografia di Lecco e il suo futuro turistico e terziario
– Camera di Commercio di Lecco: la ristorazione e le tematiche agro-gastronomiche
Infine lo chef
stellato Theo Penati per l'occasione ha pensato e realizzato una ricetta
speciale, l’Insalata
De Chirico, che ovviamente ha come ingrediente principale le lumache.
Ma ora andiamo a
scoprire la passione di De Chirico per la gastronomia partendo da quel lacerto
di romanzo intitolato Un’avventura di
Monsieur Dudron che l’artista pubblicò per la prima volta in italiano nel
1939 con il titolo originale: “Una gita a Lecco”.
In questo breve
racconto di un sogno metafisico e perché no surreale, De Chirico narra la
storia di un pittore, il signor Dudron, che viene costretto da una bella e
«moderna Valchiria» a partecipare ad una cena sul lago di Como nella locanda di
un celebre industriale diventato allevatore di lumache. L’artista, schifato
dall’idea di ingerire le lumache e inorridito dalle pinzette «somiglianti a
minuscoli strumenti ostetrici» distribuite ai commensali per estrarle dal
guscio, differenzia il suo menu da quello dei suoi commensali estasiati dalla
inspiegabile croccantezza
dei molluschi e mangia «una coscia di pollo arrosto dopo un antipasto di
prosciutto crudo e sardine sott’olio». Come contorno Dudron ordina «un
piatto
di spinaci al burro, e come dessert, un’omelette senza sale e
abbondantemente
riempita di marmellata di fragole» e innaffia il tutto con un buon
bicchiere di
vino locale. Dopo aver gironzolato sotto un diluvio universale per gli
allevamenti di lumache senza vederne neanche una, la Valchiria si decide
a
riaccompagnare a casa Dudron, felice di non aver dovuto divorare quegli
esseri preistorici e immondi. Il racconto si chiude con la
determinazione di Dudron/De Chirico di non abbandonare mai più il
cavalletto e i pennelli dinnanzi a qualsiasi tentazione mondana. Una
ulteriore incursione teorica del padre della pittura metafisica riguardo
i problemi della gastronomia è rappresentata da un breve e attualissimo
testo polemico intitolato "Cucina moderna" posto a margine dell'edizione francese del libro Hebdomeros.
L’Hebdomeros di De
Chirico è un romanzo che paradossalmente fatica ad essere inquadrato in un
genere, ed è stato considerato da Breton uno dei capolavori della letteratura
surrealista, nonostante De Chirico sia stato sempre ostile ai surrealisti dei
quali criticava apertamente il modo di agire e di esprimersi.
Nelle Memorie della mia
vita (1945), egli ebbe modo di precisare in maniera estremamente polemica
di avere preso sin da subito le distanze dal surrealismo a causa del
comportamento corrotto dei membri dell’entourage che
ruotava attorno alla figura di Breton: «Poco dopo essere giunto a Parigi trovai
una forte opposizione da parte di quel gruppo di degenerati, di teppistoidi, di
figli di papà, di sfaccendati, di onanisti e di abulici che pomposamente si
erano autobattezzati surrealisti e parlavano anche di “rivoluzione surrealista”
e di “movimento surrealista”. Questo gruppo di individui poco raccomandabili
era capeggiato da un sedicente poeta che rispondeva al nome di André Breton ed
il quale aveva come aiutante di campo un altro pseudo-poeta di nome Paul
Eluard, che era un giovanottone scialbo e banale, con il naso storto e una
faccia tra di onanista e di cretino mistico. André Breton, poi, era il tipo
classico del somaro pretenzioso e dell’impotente arrivista. […] Benché i
surrealisti professassero purissimi sentimenti comunisti ed antiborghesi,
cercavano sempre di abitare il più comodamente possibile, di vestire benissimo,
di consumare
ottimi pasti annaffiati da ottimi vini, di non fare mai, nemmeno con un
centesimo, la carità ad un povero, di non muovere mai nemmeno un dito in favore
di qualcuno che avesse avuto bisogno d’un aiuto materiale o morale e poi,
soprattutto di lavorare il meno possibile, anzi di non lavorare affatto» [il
corsivo è nostro. N.d.A.].
A parte la
diffidenza di De Chirico verso Breton, Hebdomeros pare
una vera e propria favola surrealista
costruita come un collage onirico
di simboli, come un labirinto di sensazioni, di visioni, di situazioni e di
immagini in cui è vano cercare un inizio e una conclusione. L’originalità del
romanzo sta proprio nella scrittura e nell’intenzione di De Chirico di
proiettare il lettore nelle sue fantasie, nei suoi sogni e nelle sue percezioni
sconvolgenti offrendogli un itinerario intellettuale e gastronomico
assolutamente inconsueto.
In “Cucina
«moderna»”, che costituisce una sorta di appendice al romanzo, De Chirico,
assolutamente igienista, contesta quegli intellettuali che disprezzano i
ristoranti dei grandi alberghi ed elogiano invece con fare snob le
«trattorie sporche»: «Solo nei grandi alberghi -scrive De Chirico- e nei loro
ristoranti si trova oggi ancora, in fatto di cucina e d’alloggio, un resto di
quella tecnica e di quella buona materia che stanno completamente scomparendo
dalla faccia della terra. La buona locanda di campagna, la buona locanda che
c’era prima, pulita, ed ove si mangiava bene, le buone trattorie cittadine
senza eleganza, ma linde ed ospitali, non esistono più. Salvo rare eccezioni,
sono state sostituite da locali sporchissimi e maleodoranti, ove si mangia
malissimo, si è trattati da cani, e si pagano prezzi da Foyot e da La Perouse;
e questo già da parecchi anni e non solo in Italia, ma in tutti i paesi.
Gl’intellettuali, che capiscono ogni cosa a rovescio, ostentano un inguaribile
disprezzo per la cucina dei grandi alberghi e sono persuasi che solo nelle
trattorie sporche si mangi bene, anzi, più la trattoria è sporca e più credono
che ci si mangi bene. Per questo, al crepuscolo, quando suona l’ora della cena,
tu li vedi, come pecore nell’ovile, inbucarsi lentamente nei locali maleodoranti
delle più sudice trattorie». Infatti, Il protagonista eponimo dell’opera,
Ebdòmero, l’alter-ego
o il prestanome del creatore dell’Arte Metafisica, si ritrova immerso in
immagini inclassificabili che vanno a comporre i frammenti dell’esistenza di De
Chirico stesso, e si muove in piena osmosi con eventi irreali come se fosse una
sorta di veggente, un medium alla
scoperta di un’altra dimensione della realtà.
Creatura
assoluta, Ebdòmero, si inserisce in questa dimensione parallela e vive una
seconda vita secondo dei precetti del tutto particolari di cavaliere di ventura
sui generis.
Per quanto riguarda l’alimentazione, «egli professava sulla questione delle
vivande e del nutrimento in genere una morale a sé che gli era valsa
l’antipatia e spesso i sarcasmi dispettosi di un gran numero dei suoi
contemporanei. Egli divideva le vivande in morali e immorali. Lo spettacolo di
certi ristoranti ove fini buongustai vanno a soddisfare le concupiscenze oscene
del loro apparecchio gastrico, lo rivoltava fino al disgusto e sollevava nella
sua anima una giusta e santa ira. Le persone che mangiano aragoste ed astaci e
succhiano con una voluttà bestiale, dopo averle rotte con uno spaccanoci, le
zampe e le pinze di quei mostri corazzati e schifosi, lo facevano fuggire come
un Oreste inseguito dalle Erinni. Ma ciò che soprattutto lo turbava era vedere,
al principio dei pasti gli amatori di ostriche inghiottire quel mollusco
disgustoso con una messa in scena di panini neri imburrati con cura, di piccoli
bicchieri d’uno vino bianco speciale, di quarti di limoni, ecc…; tutto ciò
accompagnato da teorie immonde e spiegazioni indecenti sopra l’effetto
esercitato dal sugo del limone sul mollusco, che si contrae quand’è ancora
vivo, o da discorsi ridicoli sull’aroma delle ostriche che fa pensare al mare,
agli scogli battuti dalle onde, e ad altre stupidità di cui solo un’essere
sprovvisto d’ogni pudore e d’ogni controllo su se stesso può interessarsi». Ma
Ebdomerò è disturbato non solo dalla natura viscida e disgustosa dei molluschi
e dalle suggestioni erotiche cui le ostriche rimandano, ma anche da molte altre
«materie» che egli ama definire «deleterie e impure»: «Egli considerava pure
come immorale il fatto di consumare i gelati nei caffè e, in genere, di mettere
pezzi di ghiaccio nelle bevande. Il chiaro d’uovo battuto e la panna montata,
erano anche per lui materie deleterie e impure. Egli trovava ancor molto
immorale e meritevole della maggior repressione, la predilezione esagerata e
istintiva che spesso giunge fino alla voracità e che hanno specialmente le
donne per le conserve crude: cetrioli, carciofi conservati nell’aceto, ecc…».
Inoltre «egli considerava la fragola e il fico come i più immorali tra i
frutti. Il fatto di farsi servire d’estate al mattino, alla prima colazione,
fichi freschi coperti di ghiaccio pestato, era per Ebdomerò un atto talmente
grave che, secondo il suo codice, avrebbe meritato una pena variante da dieci a
quindici anni di prigione. Molto condannabile secondo lui era pure l’atto di
mangiare fragole ricoperte di crema; non riusciva a capire come persone
ragionevoli potessero commettere atti tanto vergognosi e come potessero avere
il coraggio di fare ciò in pubblico, davanti ai loro simili, invece di
nascondere le loro inconfessabili azioni in fondo alle camere più oscure, dopo
esservisi rinchiuse a doppio giro di chiave come per una violenza o per un
incesto».
Ma chi aveva la
colpa di tutta questa decadenza, di questa degenerazione dei costumi
alimentari? Ebdomerò
la attribuiva «all’imbecillità umana che considerava
immensa ed eterna come l’universo e nella quale aveva una fede inamovibile». La
sua dieta del resto consisteva in «un pasto modesto che si preparava lui
stesso»: «un magro uccello (specie di allodola anemica) che ogni giorno gli
portava un cacciatore ottuagenario» (nelle sue Memorie, ha
confessato di amare in modo particolare la cacciagione e soprattutto l’anatra
arrosto, considerata «un vero poema» per il suo palato). La preparazione
dell’uccelletto era abbastanza semplice, quasi un rito quello che compiva ogni
giorno Ebdòmero: «egli posava l’uccello morto sopra una tavola con un
tovagliolo; a volte invece lo posava sull’ovatta, come se fosse neve, il che
gli faceva pensare alla caccia d’inverno e alle belle riunioni di cacciatori
nelle locande […]. Quando l’ora del pasto era suonata egli spiumava l’uccello e
lo metteva a cuocere in una piccola marmitta con burro di capra e un po’ di
sale; mentre cuoceva lo rivoltava pungendolo con una forchetta e ripetendo ad
alta voce sempre stessa frase: “Bisogna che senta il calore! Bisogna che senta
il calore”». E «quando qualcuno picchiava all’uscio nel momento in cui stava
sedendosi a tavola, aveva il coraggio di invitare il visitatore a condividere
il suo pasto che consisteva, oltre che nell’uccelletto arrostito, in un
pezzetto di pane di segala e in una cucchiaiata di marmellata di mirtilli; come
bevanda, egli beveva dell’acqua filtrata nella quale scioglieva lievito di
birra fresco con un po’ di zucchero». De Chirico precisò anche che purtroppo
quando Ebdomerò era costretto a rinunciare alla sua dieta per desinare in un
ristorante, gli veniva sempre proposto un menù sobrio, composto come se fosse
una poesia:
«Zuppa
di funghi alla silvana,
Carciofi
teneri con salsa limonata,
Coscia
di montone arrostita,
Patate
novelle al burro fresco,
Dolce
di semola con marmellate di fragole,
Frutta
e formaggio,
Caffè
e liquori».
E così il
lettore non può far altro se non immaginare Ebdomerò/Dudron/De Chirico intento
a mangiare con parsimonia, animato da quella lucida freddezza e da quel
metafisico distacco che traspare inequivocabilmente dalla magia della sua
pittura.
Guido
Andrea Pautasso
Si consiglia la lettura di Giorgio
De Chirico, Il signor Dudron, a cura di Jole de Sanna e con uno scritto
di Paolo Picozza, SE, Milano 2014
Alcuni libri che
i visitatore troveranno esposti alla mostra:
G. De Chirico
Hebomeros. Le peintre
et son génie chez l’écrivain
Paris,
Collection Bifur, Editions du Carrefour 1929
cm.19x13
pp.252+4, brossura con sopraccoperta gialla illustrata dall’autore
(Stampato su
carta Alfa Mousse Navarre in 2800 copie numerate. Nostra copia n.2160)
Giorgio de
Chirico
Ebdòmero. Romanzo
Milano, Bompiani
1942-Anno XX (gennaio 1942)
20,5x12 cm.,
p.216 +12, brossura con sopraccoperta decorata dall’autore
(Prima edizione
italiana)
Giorgio De
Chirico
1918-1925. Ricordo di
Roma
Roma, Editrice
Cultura Moderna (gennaio) 1945, “Collana Il Girasole” a cura di Guglielmo
Santangelo e Orfeo Tamburi, n.4
cm.11x7,2,
p.118, brossura illustrata dall’autore, diverse illustrazioni in b/n fuori
testo di De Chirico
Tiratura di 1050
esemplari, nostra copia n.352
Giorgio de
Chirico
Ebdòmero. Romanzo
Alla prima carta
bianca dedica stampata a macchina: «Alla sacra memoria di mio fratello Alberto
Savinio».
Al frontespizio:
Stampato presso l’autore Roma 1957 (La nostra copia ha la sopraccoperta, che
riproduce fedelmente il disegno pubblicato sulla prima edizione francese, e
riporta come editore All’Insegna del Pesce d’oro Milano)
Roma, presso
l’autore (Tip. M. Menghini), 1957
cm.20,5x14,
pp.190, brossura originale a due colori, sopraccoperta
(Non è segnalata
l’esistenza della sopraccoperta nei cataloghi consultati).
All’interno, a
p.190, una correzione autografa al testo.
Secondo Armando
Audoli (“Wuz”, n.2, marzo-aprile 2005) «de Chirico, nel 1957, volle riproporre
l’opera in una tiratura privata (oggi rarissima) dedicata alla memoria di suo
fratello Alberto Savinio»
Giorgio De Chirico
Un’Avventura di
Monsieur Dudron
Al frontespizio:
Un’Avventura di Monsieur Dudron seguito da Altri scritti
Edizioni del
Sole Nero, Amsterdam, printed by Real Free Press s.d. (Edizione corsara del
1984 secondo Gambetti Vezzosi, in realtà è stata stampata nel 1979 come
riportato in AA.VV., I fiori di Gutenberg.
Analisi e prospettive dell'editoria alternativa, marginale, pirata in Italia e
Europa, a cura di Pasquale Alfieri e Giacomo Mazzone, Roma, Arcana 1979)
cm.15,5x11.5,
pp.64, brossura
Gli Altri scritti
riportati nel volume sono tratti da Commedia dell'Arte
Moderna di Giorgio de Chirico e Isabella Far (Roma, Traguardi 1945)
Con un timbro a
p.64: Museo Internazionale d’Arte Moderna Collezione Privata. Studio L’Orologio
Vicolo Sforza Cesarini n.3 – 00186 Roma Via Leopardi 6 – 60044 Fabriano Italia
Su Giorgio De Chirico:
Lo Duca [Giuseppe
Maria, poi Joseph-Marie]
Giorgio De Chirico
Al frontespizio: Giorgio De Chirico 36 tavole
Milano, Ulrico Hoepli Editore 1936 XIV
cm.17,5x12m5, pp.30+XXXVI tavole in b/n, brossura,
sopraccoperta illustrata in b/n da de Chirico
(Stampato in 1000 copie num. Nostra copia n.968)
Dove: Palazzo delle Paure –
Lecco, Piazza XX Settembre 22
Inaugurazione: 13 giugno 2015, ore 18.00
Apertura: dal 14 giugno al 20 settembre 2015
Promotori: Comune di Lecco, Camera di Commercio di Lecco, Regione Lombardia
Idea e progetto di: Giulio Ceppi
Mostra a cura di: Francesca Brambilla
Ingresso gratuito
Inaugurazione: 13 giugno 2015, ore 18.00
Apertura: dal 14 giugno al 20 settembre 2015
Promotori: Comune di Lecco, Camera di Commercio di Lecco, Regione Lombardia
Idea e progetto di: Giulio Ceppi
Mostra a cura di: Francesca Brambilla
Ingresso gratuito