MANIFESTO DELLA CUCINA FUTURISTA
Questa
ricerca, espressamente dedicata al “Manifesto della cucina futurista”, intende dipanare
alcuni dubbi e rettificare diverse imprecisioni sorte attorno ad esso, a
cominciare dalla paternità del testo, la cui stesura spesso e volentieri viene attribuita
in maniera errata al solo fondatore e massimo teorico del Futurismo, Filippo
Tommaso Marinetti. E anche per quanto concerne la figura di Fillìa (nome d’arte
di Luigi Colombo), fondatore all’inizio degli anni trenta a Torino del
Movimento Futurista Sindacati Artistici, occorre precisare che egli scrisse a
quattro mani con Marinetti il volume La
Cucina Futurista ma non pubblicò e non firmò mai un manifesto integralmente
dedicato alla gastronomia futurista seppur partecipando attivamente alla
polemica sorta attorno al rinnovamento della cucina voluto dall’avanguardia
marinettiana. Prima di addentrarsi nello studio del “Manifesto della cucina
futurista”, sottolineiamo quanto queste precisazioni iniziali siano doverose
dati gli equivoci e la costante disinformazione pubblicata su libri, siti
internet e blog che si interessano al fenomeno della cucina dei futuristi in
maniera semplicistica e riduttiva senza affrontarla scientificamente dal punto
di vista storico, culturale, sociale e ancor meno rispettando la cronologia
degli avvenimenti ad essa collegati.
Del
“Manifesto della cucina futurista” esistono tre differenti stesure
ufficialmente riconosciute dagli storici, studiosi e critici del movimento del
Futurismo1. La prima versione, intitolata “Manifeste de la cuisine
futuriste”, è stata scritta nel 1913 dallo chef
francese Jules Maincave, a cui va il merito di essere stato il primo cuoco ad
aver trasferito in cucina il pensiero e i dogmi rivoluzionari del movimento
futurista per applicarli alla gastronomia. Mentre le altre due versioni del
manifesto, scritte in italiano e pubblicate tra il 1927 e il 1930, entrambe
intitolate “Manifesto della cucina futurista”, sono state frutto e opera delle
ricerche del fondatore del Futurismo, Filippo Tommaso Marinetti che, in primis, però lavorò alla traduzione,
alla revisione e alla riscrittura dei materiali presentati da Maincave, per poi
sviluppare ex-novo una sua versione del manifesto assolutamente
all’avanguardia per la terminologia, per le considerazioni tecniche sulla
natura e sulla manipolazione degli alimenti e soprattutto per le visioni
utopiche e sociali che esso comportava.
Per comprendere le ragioni
della stesura del manifesto della gastronomia del Futurismo in tre diverse versioni,
a loro volta caratterizzate da significative varianti, possiamo suddividere la
stessa disciplina della Cucina futurista in due momenti o periodi differenti.
Essa infatti visse un primo periodo, identificato con i termini ‘innovativo ed
esperienziale’, che spaziò dal 1910 al 1929, e che fu legato soprattutto alla
figura di Maincave e alla concezione marinettiana del banchetto futurista
inteso come espressione spettacolare di uno stile di vita rivoluzionario. Nella
seconda fase, che interessò il periodo dal 1930 agli ultimi giorni del 1944, la
Cucina futurista si trovò a vivere un momento fortemente ideologizzato,
assolutamente in linea con la politica del regime fascista, e che potrebbe
essere definito di carattere ‘metodologico ed autarchico’. Questo secondo
periodo, diventato grazie agli studi critici, predominante, ebbe come massime
manifestazioni la campagna di Filippo Tommaso Marinetti per l’abolizione dalle
mense italiane della pastasciutta; l’estremizzazione della ricerca
dell’artisticità nella preparazione delle vivande; la trasformazione dei
banchetti futuristi in veri e propri strumenti di propaganda; e la proposta di
un metodo e di regole nuove per la nutrizione delle masse popolari. Chiarito
questa particolare differenziazione interna allo stesso sviluppo dei principii,
delle intenzioni e delle ragioni esperienziali della Cucina futurista, possiamo
ora analizzare il suo manifesto teorico da un punto di vista cronologico e
filologico considerando soprattutto il ruolo svolto dall’autore dello scritto
iniziale, Maincave, per poi concentrare l’attenzione sulla funzione svolta
invece da Marinetti che cercò di dare alla gastronomia del Futurismo una vera e
propria dimensione artistica e istituzionale.
Il
primo manifesto dedicato alla cucina futurista lo dobbiamo allo chef francese Jules Maincave che scrisse
il “Manifeste de la cuisine futuriste” e lo pubblicò sulla
rivista “Fantasio”
in un’intervista rilasciata ad André Charpentier il primo settembre
del 1913. Il manifesto è stato puntualmente tradotto in italiano
e pubblicato nel 1914 con il titolo “Il cuoco futurista, ovvero Jules Maincave
intervistato dal giornalista Charpentier” sul numero di agosto della rivista
“Gazzettino Azzurro” di Rimini; in seguito, il testo è stato ripubblicato nel
maggio del 1930 sul mensile “La Cucina Italiana. Giornale di gastronomia per le
famiglie e per i buongustai.
Marinetti
tradusse il “Manifeste de la cuisine futuriste” soltanto quattordici anni dopo,
per pubblicarlo con il titolo “La cucina futurista. Manifesto della cucina
futurista” sulla rivista “La Fiera Letteraria” nel maggio del 1927. In realtà,
il capo del Futurismo non si limitò a tradurre il verbo di Maincave bensì rielaborò
lo scritto primigenio del cuoco francese apportando alcune sostanziali modifiche
al testo concentrando il suo interesse sull’urgenza di rinnovare la gastronomia
del ventesimo secolo, per poi associare a questa ansia di rinnovamento la
volontà di allestire le cucine moderne come se fossero dei laboratori creativi.
Due tesi che furono esposte comunque da Maincave già in “Fantasio” e
soprattutto nell’intervista rilasciata ad Alexandre Arnyvelde, intitolata “Un
cusinier futuriste”, pubblicata su “Les Annales Politiques et Littéraires” nel
novembre del 1913. Come si evince dall’attenta lettura dei testi dello chef futurista francese, Marinetti offrì
ai lettori de “La Fiera Letteraria” una sua
versione ‘personale’ del manifesto, preceduta da un breve ricordo di Maincave scomparso
tragicamente durante la prima guerra mondiale2.
Il “Manifesto
della cucina futurista” redatto personalmente da Filippo Tommaso Marinetti in
chiave autarchica e propagandista venne invece pubblicato sul giornale “La
Gazzetta del Popolo” di Torino il 28 dicembre del 1930, per poi comparire sulla
rivista “La Cucina Italiana. Giornale di gastronomia per le famiglie e i
buongustai” di Umberto e Delia Notari il 15 gennaio del 1931; cinque giorni
dopo la pubblicazione su “La Cucina italiana”, il manifesto, tradotto in
francese, trovò spazio sulla rivista parigina “Comoedia”.
Seguendo
un ordine cronologico il manifesto di Marinetti è stato in seguito ristampato
sul “Giornale di Sicilia” il 2 febbraio del 1931, e riproposto nel menu offerto ai commensali in occasione
dell’inaugurazione del ristorante futurista ‘Taverna Santopalato’ in via
Vanchiglia 2 a Torino l’8 marzo dello stesso anno. Il manifesto fu ripubblicato
integralmente sia nel numero speciale “Chiavari Anno X” nel novembre del 1931,
sia nel libro di Marinetti e Fillia, La
cucina futurista, edito a Milano da Sonzogno, probabilmente nel 19323.
Mentre un breve stralcio del manifesto apparve sia sulla rivista romana “Gli
oratori del giorno. Rivista Mensile d’Eloquenza” nel settembre del 1931 con il
titolo “Pastasciutta, blocco pesante (Polemica di S.E. Marinetti)”, sia nel
volume di Giovanni Mariotti, Itinerari
ghiotti, una delle prime guide ai ristoranti d’Italia edita a Milano nel
1936 per conto della Società Anonima Terme di S. Pellegrino. Ad oggi il “Manifesto della cucina futurista” contenuto nel libro di Fillìa
e Marinetti, è stato tradotto in inglese, in francese, in tedesco, in spagnolo
e in norvegese. Mentre all’epoca del suo lanciamento, l’Agenzia A.L.A. (fondata
dal segretario del ‘Movimento Futurista’ Luigi Scrivo) diffuse in uno dei suoi
volantini informativi del 1932 la notizia -mai confermata- della traduzione in
ungherese sia del “Manifesto della cucina futurista”, sia del libro dedicato
dai futuristi alle loro fantastiche innovazioni gastronomiche.
La
lettura critica dei tre manifesti tecnici dedicati alla gastronomia dei
futuristi consente di comprendere le differenze sostanziali esistenti tra i
principii propugnati inizialmente da Maincave e quell’ideale rinnovamento auspicato
invece da Marinetti che, a distanza di circa vent’anni, sognava la
trasformazione futurista della cucina grazie all’uso della tecnologia e delle
scoperte scientifiche dell’era moderna.
Maincave,
nel 1913, intendeva fare «tabula rasa
di tutte le schiavitù culinarie» riguardo al metodo della preparazione delle
vivande, attaccando precipuamente «le misture e gli aromi», e impostando le sue
ricerche per restituire all’umanità il piacere delle sensazioni gustative e della
«“tattilità” della bocca» in un crescendo di inventive e di accostamenti al
limite della razionalità, dei sapori e del buon gusto. Marinetti con la pubblicazione
sulla “Gazzetta del Popolo” del suo “Manifesto
della cucina futurista” nel 1930 ebbe l’ambizione di teorizzare invece la prima
autentica rivoluzione culturale, antropologica e gastronomica del sistema
alimentare italiano e moderno.
Il
fondatore del Futurismo volle dare vita ad «una alimentazione nuova,
rallegrante, ottimista, eccitatrice dell’ingegno, poco costosa»: «la prima
cucina umana», schierata contro il mito della gola e della «cucina-museo»
passatista, ispirata dall’«arte di alimentarsi» escludendo il plagio ed
esigendo sempre una certa dinamicità dei cuochi e l’originalità della creazione
e della preparazione delle vivande. Comprendendo come le alte manifestazioni
dell’arte culinaria non potessero essere ‘congelate’ e mostrate come mummie nei
musei, Marinetti scese nell’arena della vita pratica e lanciò una «rivoluzione
cucinaria» che si proponeva «lo scopo alto, nobile ed utile a tutti di
modificare radicalmente l’alimentazione […], fortificandola, dinamizzandola e
spiritualizzandola con nuovissime vivande in cui l’esperienza, l’intelligenza e
la fantasia» sostituissero «economicamente la quantità, la banalità, la
ripetizione e il costo». Il suo obiettivo era far dimenticare agli italiani
«l’uomo panciuto», «cubico, massiccio, impiombato», che non era da vedersi come
un simbolo ma come una «sintesi alogica di molte sensazioni: paura della realtà
futura, freddo e solitudine della notte, visione della vita 20 anni dopo,
ecc.». Inoltre, per i futuristi era venuto il tempo di sfruttare le innovazioni
meccaniche e scientifiche che consentivano di conseguire un perfezionamento cucinario ed una organizzazione di
sapori, di odori, e di gusti diversi che sino ad allora erano sembrati assurdi.
Il diktat futurista era sperimentare
e far diventare gli artisti del movimento dei veri e propri chimici dell’intuizione gastronomica, in
quanto il cuoco era considerato un «chimico che condensa nella reazione
alimentare i principi indispensabili alla vita». Per Marinetti gli chef
futuristi dovevano essere degli innovatori e dovevano razionalizzare
l’alimentazione – come auspicato anche dalla propaganda del regime fascista –
anche ipotizzando l’avvento fantascientifico della nutrizione attraverso le
pillole (che avverrà quasi quarant’anni dopo con gli astronauti) e mediante
delle «onde nutrienti».
Nel suo Manifesto della
cucina futurista, Marinetti invitò i cuochi a «concepire per ogni vivanda
un’architettura originale, possibilmente diversa per ogni individuo», in modo
cioè che tutte le persone avessero «la sensazione di mangiare, oltre che dei
buoni cibi, anche delle opere d’arte», facendo così percepire come il cibo
potesse declinare verso nuovi linguaggi e trascendesse il confine del gusto per
raggiungere nuovi canali percettivi. Nel manifesto si invitava ad abolire
l’utilizzo delle posate per esaltare «il piacere tattile prelabiale» e ad usare
l’arte dei profumi per favorire la degustazione, in maniera tale che ogni
vivanda fosse preceduta da un profumo, in seguito cancellato dalla tavola
mediante l’accensione di forti ventilatori. Gli chef futuristi avevano il compito di eccitare i sensi appagando
tutte quelle «sensazioni tattili-visive-olfattive-termiche-gustative» nascoste
negli accostamenti azzardati dei cibi, in «bocconi simultanei e cangianti» in
grado di contenere «dieci, venti sapori da gustare in pochi attimi». Gli
accostamenti dei cuochi futuristi trasformavano così le vivande in vere e
proprie operazioni artistiche e comportamentali all’avanguardia: delle azioni che risultano nettamente in
anticipo rispetto alle nuove tendenze gastronomiche dei food designer del terzo millennio.
Guido Andrea Pautasso
NOTE
1.
Domenico Cammarota, in Futurismo.
Bibliografia di 500 scrittori italiani (Milano-Rovereto, SKIRA-Mart, 2006),
ha sostenuto l’esistenza di un ulteriore testo teorico, intitolato Manifesto della cucina futurista diretto ai
cuochi di tutto il mondo, redatto dal ‘Comitato a fuoco perpetuo della
cucina futurista’, pubblicato a Milano sotto forma di volantino, privo però di
una qualsiasi datazione e senza alcuna indicazione degli autori o dei membri
sottoscrittori del comitato. Cammarota afferma che il manifesto probabilmente è
databile «giugno 1913» ma questa datazione comporta delle discrepanze rispetto
al manifesto di Maincave, pubblicato su “Fantasio” esattamente a tre mesi di
distanza, ovvero nel settembre dello stesso anno. L’assenza di una datazione
precisa pertanto non consente di affermare con assoluta certezza che il Manifesto della cucina futurista diretto ai
cuochi di tutto il mondo sia veramente il primo manifesto pubblicato sulla
gastronomia dell’avanguardia marinettiana (inoltre teniamo a sottolineare che
tale versione del manifesto non è stata da noi reperita e tantomeno è stata
possibile una verifica del materiale stampato e di conseguenza del testo
contenuto).
2.
Nella stesura del testo, Marinetti potrebbe anche aver utilizzato il già
menzionato Manifesto della cucina
futurista diretto ai cuochi di tutto il mondo che potrebbe anche essere una
prima traduzione italiana del manifesto di Maincave. Tuttavia, per quanto
concerne la natura di questo testo, come precisato nella nota precedente,
possiamo soltanto fare delle ipotesi e delle supposizioni in merito al
contenuto e alla sua datazione.
3.
Rimandiamo alla lettura del testo di Guido Andrea Pautasso, http://cucinafuturista.blogspot.it/2012/03/la-cucina-futurista-i-misteri-di-un-libro.html.
MANIFESTO DELLA
CUCINA FUTURISTA
La Cucina futurista
André Charpentier, La cucina futurista
Jules Maincave, chef futurista,
concede in anteprima a “Fantasio” il suo manifesto.
-
Una
fumisteria, la cucina futurista? ...Chi osa dirlo?...Per le ceneri di Vatel, se
sapessi…
Indignato, coi pugni serrati, il
volto improvvisamente rosso, Jules Maincave, il promotore della cucina
futurista, mi si pianta davanti in una posizione di sfida.
Poi, tutto fremente, estrae da un
cassetto e mi sbatte sotto gli occhi un fiume di ritagli di giornali.
Dopo il cuoco futurista, per
fugare tutti i miei dubbi, m’obbliga a scorrere tre dozzine di lettere
d’approvazione inviate da chef, chimici, medici, buongustai…
-
E
sono stato intervistato da molti corrispondenti di giornali stranieri, signore,
e ho ricevuto da un dottore di Londra, il dottor Madison, offerte superbe per
andare a sperimentare in Inghilterra i procedimenti della cucina futurista.
-
Pensate
alla Francia, Maincave – l’ho supplicato – Restateci fedele! Non sia mai che
l’Inghilterra ci rubi i segreti della cucina futurista.
Calmato, soddisfatto della mia
fiducia, Jules Maincave volle comunicarmi il manifesto della cucina futurista
che aveva appena ultimato e di cui riservava l’anteprima a “Fantasio”.
Ecco la copia esatta di questo
documento sensazionale:
Manifesto della cucina futurista
Cucine, prigioni appestate,
cantine per carogne, tenebrose officine dove si elaborano i roux immondi, caverne d’infezione dove
dei loschi banditi impastano lo scipito e nauseante pasto da gettare nei
milioni di bocche umane che si spalancano a ore fisse verso una soddisfazione
mai appagata!
Da secoli l’uomo, come una
bestia, si pasce. Non ha ancora mangiato.
Un centinaio di individui
ignobili quanto ignari, fregiati del pomposo titolo di “chef” e infatuati delle
loro funzioni, si accaniscono ad annullare nell’uomo la sensazione gustativa e
a corrodere la “tattilità” della bocca, che non è più che un apparato masticatorio
invece di essere – ciò che è il fine della sua creazione – il centro dei più
intensi godimenti. Il palato umano, destinato ai piaceri raffinati della
tavola, è diventato una pattumiera.
È venuto il tempo di reagire
contro una situazione che prolungandosi rischia di abbassare l’uomo al rango
dei ruminanti. Noi vogliamo una cucina adeguata alla comodità della vita
moderna e alle ultime concezioni della scienza. Unica tra tutte le arti, l’arte
culinaria ristagna in un bestiale stato primitivo. Noi aspettiamo ancora una
vivanda veramente nuova. Gli stessi
piatti sfilano sulle tavole vergognosamente truccati; cambiano solo i nomi
ridicoli e pretenziosi con cui sono serviti.
Al futurismo spetta di rinnovare
l’arte culinaria. Il futurismo, dopo aver sorvolato il mondo con l’ala
liberatrice, atterra oggi sull’arena della vita pratica; secondo il suo forte
intendimento, nulla di ciò che riguarda l’umanità lo trova indifferente; non
solo agita gli uomini e le idee, ma anche le cose. La bocca, attraverso cui passa
l’alimento dispensatore di energia, è la parte essenziale del corpo; il
futurismo comincia a proteggerla contro i tentativi infami dei venali Borgia.
Cuochi e sguatteri, avventurieri sfrontati, la vostra livrea bianca sarà il
vostro sudario. Noi proietteremo i raggi del nostro sole nell’antro delle
vostre cucine, e le tenebre saranno dissipate. Noi metteremo sottosopra i
vostri buffet, noi rovesceremo i vostri fornelli, noi getteremo nei rigagnoli
le vostre paste di peste e le fiale di pus.
Il modo attuale di preparare le
vivande è stupido e abitudinario. Esso è fondato su principi irrazionali. La
cucina futurista fa tabula rasa di tutte le schiavitù culinarie riguardo al
metodo. Essa parte all’attacco delle due formidabili Bastiglie della cucina
moderna: le misture e gli aromi.
Le misture. Il metodo tradizionale esclude certe mescolanze e ne
autorizza altre. Perché questa differenza di trattamento? Mistero. L’olio
sposato all’aceto forma una salsa classica, ma l’idea di unire del rhum al sugo
di maiale è considerata una stramberia. Eppure! ...La cucina futurista ha
dunque per scopo di avvicinare alimenti e liquidi oggi separati per una così
strana cautela e di provocare, per mezzo di quest’incontro, sensazioni
gustative inedite.
Gli aromi. I condimenti culinari sono ridicolmente limitati: noi
siamo ancora all’alloro, al prezzemolo, al timo, al cipollotto, allo scalogno.
Invece i progressi della chimica moderna permettono di utilizzare, senza
nocività, nella preparazione delle vivande, tutti i profumi conosciuti: rosa,
violetta, mughetto, lillà, verbena, e i loro composti. Ugualmente i liquori e i
succhi di frutta possono e debbono adattarsi a qualunque combinazione
culinaria.
La bevanda. La cucina futurista, senza respingere sistematicamente
i vini, esige la presenza sulla tavola di tutte le essenze di fiori o di
frutti, così che ciascun invitato possa unire all’acqua il suo aroma preferito,
quando la ricetta futurista non specificherà che tipo di aroma usare…
Infine noi siamo preoccupati
dalla collocazione dell’office e dei
fornelli nello stabile moderno. La cucina futurista non ammette che le vivande
siano elaborate in sottosuoli tenebrosi. Noi, cucinieri futuristi, abbiamo
bisogno di luce, d’aria aperta, di cielo! Noi piazziamo dunque la cucina sulla
cime della casa, come lo studio di un artista.
Del cielo deve entrare nella
composizione degli alimenti: come pure certi piatti necessitano d’essere
preparati a mezzogiorno, altri all’alba; altri ancora esigono i raggi del
crepuscolo. La ricetta futurista indicherà l’ora dell’elaborazione del piatto.
Jules Maincave, “chef” futurista
9, rue Georges-Saché (XIVe)
Mi felicitai con Jules Maincave
per lo stile letterario del suo manifesto.
Mi permise quindi di consultare
il suo quaderno di ricette futuriste. Vi scorsi delle cose poco banali: delle
rane farcite di un battuto di gamberetti rosa, delle uova in camicia nel sangue
di bue, da servire su un purè di patate allo sciroppo di lampone, dei filetti
di sogliola alla crema Chantilly, spolverati di lische pestate.
-
Non
potreste, mio caro Maincave – domandai allora allo “chef” futurista – darmi un
piatto speciale, esclusivo, per “Fantasio”?
Maincave, generoso, non si è
fatto pregare:
-
Vi
offro la mia ultima creazione. Scrivete, - mi disse.
E io scrissi:
Filetto di bue alla “Fantasio”
(Ora di preparazione: dalle 10
del mattino a mezzogiorno.
Bevanda raccomandata: un cucchiaio da brodo di cognac in un bicchiere
d’acqua).
Fate cuocere un bel pezzo di filetto di bue. Tagliatelo in fettine che
disporrete su un piatto fondo pieno di rhum. Lasciate marinare le vostre fette
dieci minuti, poi datele fuoco. Trattate le vostre fette come la classica
omelette al rhum. Fate un battuto di piccoli sgombri cotti alla griglia.
Adagiate questo battuto su un letto di gelatina d’una confettura di vostra
scelta, di preferenza ribes. Da mangiare molto caldo.
Dopo tutto ciò, se il cuore ve lo
consiglia, assaggiate
André Charpentier, “La cuisine futuriste”,
“Fantasio”, 8° année, n.171, Paris 1
septembre 1913.
LA CUCINA FUTURISTA
Manifesto della cucina futurista
Alla vigilia della guerra vi fu
un vivo clamore di polemiche nella stampa francese pro e contro le teorie
culinarie futuriste di un notissimo e abilissimo cuoco francese Jules Maincave.
Il mio incontro e la mia
conversazione con questo geniale artista del palato dovevano essere seguiti dal
lanciamento del suo manifesto della cucina futurista perfezionato e completato.
Questo lanciamento non avvenne
perché Maincave arruolatosi e divenuto cuoco del 90° Reggimento fanteria in
linea nelle Argonne non poté più occuparsi di propaganda.
Il Figaro raccontò più tardi come il generale Gouraud s’interessò dei
piatti futuristi e particolarmente di certe “costoletta d’attacco” e
“costoletta di resistenza” create da Maincave per preparare gli ufficiali
all’assalto.
Recatosi a ispezionare quel
reggimento Gouraud volle conoscere Maincave che gli offrì un pranzo. Gouraud
disse: Mi piace e ne riprendo”.
Il cuoco-artista rispose
commosso: “Ciò mi fa più piacere che la mia croce di guerra! Ho cucinato questo
pranzo, come sempre, col fuoco stesso del nemico”.
Quel fuoco glorioso uccise
Maincave. Recentemente fra le carte dell’eroico cuoco venne ritrovato il
manifesto integrale della cucina futurista.
Lo offriamo ai lettori
invitandoli a trarne conclusioni e sviluppi.
F.T. MARINETTI
MANIFESTO DELLA CUCINA FUTURISTA
Cucina, prigione appestata,
cantina per carogne, tenebrosa officina dove si elaborano salse immonde,
caverne d’infezione dove dei loschi banditi preparano lo scipito e nauseante
pasto da gettarsi nei milioni di bocche umane a ore fisse spalancate verso un
desiderio mai appagato!
Da secoli l’uomo, come una
bestia, si pasce.
Non ha ancora mangiato. Un
centinaio d’individui ignobili e ignari, mascherati dal nome pomposo di “chefs”
e infatuati della loro funzione si accaniscono ad annullare nell’uomo la
sensazione gustativa e a corrodere il tatto della bocca, che non è più che un
apparecchio masticatorio invece di essere – ciò che è lo scopo della creazione
– il centro dei maggiori godimenti. Il palato umano destinato ai piaceri
raffinati della tavola è divenuto un semplice imbuto.
E’ venuto il tempo di reagire a
una situazione che prolungandosi rischia di abbassare l’uomo al piano dei
ruminanti.
Noi vogliamo una cucina adattata
all’igiene della vita moderna e alle ultime concezioni della scienza. Unica fra
tutte le arti, quella culinaria stagna in un bestiale stato primitivo.
Noi aspettiamo ancora una vivanda
veramente nuova. Gli stessi piatti
sfilano sulle tavole, vergognosamente truccati; unico cambiamento il ridicolo e
pretenzioso nome sotto cui si servono.
Al futurismo spetta rinnovare
l’arte culinaria. Il futurismo dopo aver sorvolato il mondo con la sua ala
liberatrice, atterra oggi nell’arena della vita pratica: secondo la sua forte
parola, nulla di ciò che interessa l’umanità lo trova indifferente, non solo
agita gli uomini e le idee, ma anche le cose. La bocca da cui passa l’alimento
dispensatore d’energia, è la parte essenziale del corpo; il futurismo
intraprende la sua difesa contro i tentativi mercantili.
Cuochi e sottocuochi,
avventurieri sfacciati, la vostra livrea bianca sarà il vostro sudario.
Noi proietteremo i raggi del
nostro sole nell’antro della cucina e le tenebre saranno dissipate. Noi
disordineremo i vostri armadi, noi rovesceremo i vostri fornelli, noi getteremo
nei ruscelli le vostre paste di peste e le vostre fiale di pus.
Il modo attuale di accomodare le
vivande è stupido e banale. E’ fondato su principi irrazionali. La cucina
futurista fa tavola rasa di tutti i metodi di cucina. Si attacca alle due
formidabili Bastiglie della cucina moderna: le miscele e gli aromi.
Le miscele: Il metodo tradizionale esclude certe miscele e ne autorizza altre. Perché questa
differenza? Mistero. L’olio sposato all’aceto è una salsa classica, ma l’idea
di mescolare p.es. il rhum a del sugo di porco è qualificata pazza. Eppure! ...
La cucina futurista ha dunque per
scopo di avvicinare alimenti e liquidi oggi separati e di provocare con questi
incontri sensazioni gustative inedite.
Gli aromi: I condimenti sono ridicolmente limitati: siamo ancora al
lauro, timo, prezzemolo, cipolla, aglio. I prodotti della chimica moderna ci
permettono d’utilizzare, senza danno, tutti i profumi conosciuti. Rosa,
violetta, lilla, mughetto e i loro composti. Ugualmente i liquori e sughi di
frutta possono e debbono adattarsi a qualsiasi combinazione culinaria.
Bevande: La cucina futurista senza respingere sistematicamente i
vini esige la presenza sulla tavola di tutte le essenze di fiori e frutti, così
che ciascun invitato possa unire all’acqua il suo aroma favorito, quando la
ricetta futurista non specifichi quale prendere.
Infine noi siamo preoccupati
della sistemazione dell’ufficio e dei fornelli nella casa. La cucina futurista
non ammette che i cibi siano elaborati nel sottosuolo buio.
A noi, cuochi futuristi, occorre
della luce, della piena aria, del cielo!
Noi mettiamo la cucina in alto
della casa, come lo studio dell’artista. Del cielo deve entrare nella
composizione degli alimenti, come pure certi piatti chiedono di essere
preparati a mezzogiorno, altri all’alba, altri esigono i raggi crepuscolari.
Ricette futuriste: rane riempite di una pasta di granchiolini di
mare rosa.
-
Uova
affogate nel sangue di bue da servirsi su una purée di patate al siroppo di
lampone.
-
Filetti
di sogliola alla crema Chantilly spolverati di lische pestate.
-
Filetto
di bue (ora di preparazione dalla 10 del mattino a mezzogiorno).
Bevanda raccomandata, un
cucchiaio di cognac in un bicchiere d’acqua.
Fate cuocere un bel pezzo di
filetto di bue. Tagliate in pezzi fini che disporrete in un piatto fondo pieno
di rhum. Lasciate in bagno i pezzi di carne per 10 minuti poi mettete al fuoco.
Fate con questi pezzi come con la classica frittatina al rhum. Fate un pesto di
piccoli sgombri cotti alla gratella. Introducete questo pesto fra un letto di
gelatina di frutta a vostra scelta, ribes di preferenza. Da mangiarsi molto
caldo.
Niente di più squisito che:
-
Una
frittata alle ostriche;
-
Una
noce di vitello a l’absinthe;
-
Bue
al kummel guarnito di dischetti di banana riempita di gruviera;
-
Una
crema sbattuta ai pomodori bagnata di un vecchio cognac;
-
Una
cotoletta alla menta;
-
Un
pollo al mughetto.
Jules MAINCAVE
cuoco futurista
9 rue Georges Saché, Paris
Filippo Tommaso Marinetti, “La
cucina futurista. Manifesto della cucina futurista”, “La Fiera Letteraria”, anno
III, n.21, Milano domenica 22 maggio 1927.
CUCINA FUTURISTA
S.E. Marinetti lancia il nuovo verbo per la cucina futurista
Il Futurismo italiano, padre di
numerosi futurismi e avanguardismi esteri, non rimane prigioniero delle
vittorie mondiali ottenute “in venti anni di grandi battaglie artistiche
politiche e spesso consacrate col sangue” come le chiamò Benito Mussolini. Il
Futurismo italiano affronta ancora l’impopolarità con un programma di
rinnovamento totale della cucina,
Fra tutti i movimenti artistici
letterari è il solo che abbia per essenza l’audacia temeraria. Il novecentismo
pittorico e il novecentismo letterario sono in realtà due futurismi di destra
moderatissimi e pratici.
Contro la pasta asciutta
Il Futurismo è stato definito dai
teosofi “misticismo dell’azione”, da Benedetto Croce “antistoricismo”, da Graca
Aranha “liberazione dal terrore estetico”, da noi “orgoglio italiano novatore”,
formula di “arte-vita originale”, “religione della velocità”, “massimo sforzo
dell’umanità verso la sintesi”, “igiene spirituale”, “metodo d’immancabile
creazione”, “splendore geometrico veloce”.
Antipraticamente, quindi, noi
futuristi trascuriamo l’esempio e il monito della tradizione per inventare ad
ogni costo un nuovo giudicato da tutti pazzesco.
Pur riconoscendo che uomini
nutriti male o grossolanamente hanno realizzato cose grandi nel passato, noi
affermiamo questa verità: si pensa, si sogna e si agisce secondo quel che si
beve e si mangia.
Sentiamo inoltre la necessità di
impedire che l’Italiano diventi cubico massiccio impiombato da una compattezza
opaca e cieca. Si armonizza invece sempre più coll’italiano, snella trasparenza
spiralica di passione tenerezza luce volontà slancio tenacia eroica. Prepariamo
una agilità di corpi italiani adatti ai leggerissimi treni di alluminio che
sostituiranno gli attuali pesanti di ferro legno acciaio.
Convinti che nella probabile
conflagrazione futura vincerà il popolo più agile più scattante, noi futuristi
dopo aver agilizzato la letteratura mondiale con le parole in libertà e lo
stile simultaneo, svuotato il teatro della noia mediante sintesi alogiche a
sorpresa e drammi di oggetti inanimati, immensificato la plastica con
l’antirealismo, creato lo splendore geometrico architettonico senza
decorativismo, la cinematografia e le fotografie astratte, stabiliamo ora il
nutrimento adatto ad una vita sempre più aerea e veloce.
Crediamo anzitutto necessaria:
a) L’abolizione della pasta asciutta
assurda religione gastronomica italiana.
Forse
gioveranno agli inglesi lo stoccafisso il roast-beef e il budino, agli olandesi
la carne cotta col formaggio, ai tedeschi il sauer kraut, il lardone affumicato
e il cotechino; ma agli italiani la pasta asciutta non giova. Per esempio,
contrasta collo spirito vivace e coll’anima appassionata generosa intuitiva dei
napoletani. Questi sono stati combattenti eroici, artisti ispirati, oratori
travolgenti, avvocati arguti, agricoltori tenaci a dispetto della voluminosa
pasta asciutta quotidiana. Nel mangiarla essi sviluppano il tipico scetticismo
ironico e sentimentale che trona spesso il loro entusiasmo.
Invito alla
chimica
La pasta
asciutta, nutritivamente inferiore del 40% alla carne al pesce ai legumi, lega
coi suoi grovigli gli italiani di oggi ai lenti telai di Penelope e ai
sonnolenti velieri in cerca di vento. Perché opporre ancora il suo blocco
pesante all’immensa rete di onde corte lunghe che il genio italiano ha lanciato
sopra oceani e continenti, e ai paesaggi di colore forma rumore che la radiotelevisione
fa navigare intorno alla terra? I difensori della pasta asciutta ne portano la
palla o il rudero nello stomaco come ergastolani o archeologhi. Ricordatevi poi
che l’abolizione della pasta asciutta libererà l’Italia dal costoso grano
straniero e favorirà l’industria italiana del riso.
b) L’abolizione del volume e del peso
nel modo di concepire e valutare il nutrimento.
c) L’abolizione
delle tradizionali miscele per l’esperimento di tutte le nuove miscele
apparentemente assurde, secondo il consiglio di Jarro, Maincave e altri cuochi
futuristi
d d) L’abolizione del quotidianismo
mediocrista nei piaceri del palato
Invitiamo la chimica al dovere di
dare presto al corpo le calorie necessarie mediante equivalenti nutritivi
gratuiti di Stato, in polvere o pillole, composti albuminoidei, grassi
sintetici e vitamine. Si giungerà così ad un reale ribasso del prezzo della
vita e dei salari con relativa riduzione delle ore di lavoro. Oggi per duemila
Kilowatt occorre soltanto un operaio. Le macchine costituiranno presto un
obbediente proletariato di ferro acciaio alluminio al servizio degli uomini
quasi totalmente alleggeriti dal lavoro manuale. Questo, essendo ridotto a due
o tre ore, permette di perfezionare e nobilitare le altre ore col pensiero le
arti e la pregustazione di pranzi perfetti.
In tutti i ceti i pranzi saranno
distanziati ma perfetti nel quotidianismo degli equivalenti nutritivi.
Il pranzo perfetto esige:
1 1) Un’armonia originale della tavola
(cristalleria vasellame addobbo) coi sapori e colori delle vivande.
2 2) L’originalità assoluta delle
vivande.
Il “Carneplastico”
Esempio: per preparare il Salmone
dell’Alasca, ai raggi del sole con salsa Marte, si prende un bel salmone
dell’Alasca, lo si trancia e passa alla griglia con pepe sale e olio buono
finchè è bene dorato. Si aggiungono pomodori tagliati a metà preventivamente
colti sulla griglia con prezzemolo e aglio.
Al momento di servizio si posano
sopra alle trancie dei filetti di acciughe intrecciati a dama. Su ogni trancia
una rotellina di limone con capperi. La salsa sarà composta di acciughe tuorli
d’uova sode basilico olio d’oliva un bicchierino di liquore italiano Aurum e
passata al setaccio. (Formula di Bulgheroni primo cuoco della Penna d’Oca).
Esempio: Per preparare la Beccaccia
al Monterosa salsa Venere, prendete una bella beccaccia, pulitela, copritene lo
stomaco con delle fette di prosciutto e lardo, mettetela in casseruola con
burro sale pepe ginepro, cuocetela in un forno molto caldo per quindici minuti
innaffiandola di cognac. Appena tolta dalla casseruola posatela sopra un
crostone di pane quadrato inzuppato di Rhum e Cognac e copritela con una pasta
sfogliata. Rimettetela poi nel forno finchè la pasta è bene cotta. Servitela
con questa salsa: un mezzo bicchiere di marsala e vino bianco, quattro cucchiai
di mirtilli della buccia di arancio tagliuzzata , il tutto bollito per 10
minuti. Ponete la salsa nella salsiera e servitela molto calda. (Formula di
Bulgheroni primo cuoco della Penna d’Oca).
3 3) L’invenzione di complessi plastici
saporiti, la cui armonia originale di forma e colore nutra gli occhi ed ecciti
la fantasia prima di tentare le labbra.
Esempio: Il Carneplastico
creato dal pittore futurista Fillìa, interpretazione sintetica dei paesaggi
italiani, è composto di una grande polpetta cilindrica di carne di vitello
arrostita ripiena di undici qualità diverse di verdure cotte. Questo cilindro
disposto verticalmente nel centro del piatto. È incoronato da uno spessore di
miele e sostenuto alla base da un anello di salsiccia che poggia su tre sfere
dorate di carne di pollo.
“Equatore +
Polo Nord”
Esempio: il
complesso plastico mangiabile Equatore + Polo nord creato dal pittore futurista
Enrico Prampolini è composto di un mare equatoriale di tuorli rossi d’uova
all’ostrica con pepe sale limone. Nel centro emerge un cono di chiaro d’uovo
montato e solidificato pieno di spicchi d’arancio come succose sezioni di sole.
La cima del cono sarà tempestata di pezzi di tartufo nero tagliati in forma di
aeroplani negri alla conquista dello zenit.
Questi
complessi plastici saporiti colorati profumati e tattili formeranno perfetti
pranzi simultanei.
4 4) L’abolizione della forchetta e del
coltello per i complessi plastici che possono dare un piacere tattile
prelabiale.
5 5) L’uso
dell’arte dei profumi per favorire la degustazione. Ogni vivanda deve essere
preceduta da un profumo che verrà cancellato dalla tavola mediante ventilatori.
6 6)
L’uso
della musica limitato negli intervalli tra vivanda e vivanda perché non
distragga la sensibilità della lingua e del palato e serva ad annientare il
sapore goduto ristabilendo una verginità degustativa.
7 7)
L’abolizione
dell’eloquenza e della politica a tavola.
8 8)
L’uso
dosato della poesia e della musica come ingredienti improvvisi per accendere
colla loro intensità sensuale i sapori di una data vivanda.
9 9) La
presentazione rapida tra vivanda e vivanda, sotto le nari e gli occhi dei
convitati, di alcune vivande che essi mangeranno e di altre che essi non
mangeranno, per favorire la curiosità la sorpresa e la fantasia.
1 10) La creazione dei bocconi simultanei
e cangianti che contengano dieci venti sapori da gustare in pochi attimi.
Questi bocconi avranno nella cucina futurista la funzione analogica
immensificante che le immagini hanno nella letteratura. Un dato boccone potrà
riassumere un’intera zona di vita, lo svolgersi di una passione amorosa o un
intero viaggio nell’Estremo Oriente.
Strumenti scientifici in
cucina
1 11) Una dotazione di strumenti
scientifici in cucina: ozonizzatori che diano il profumo dell’ozono a liquidi e
a vivande, lampade per emissione di raggi ultravioletti (poiché molte sostanze
alimentari irradiate con raggi ultravioletti acquistano proprietà attive,
diventano più assimilabili, impediscono il rachitismo nei bimbi, ecc.), elettrolizzatori
per scomporre succhi estratti ecc. in modo da ottenere da un prodotto noto un
nuovo prodotto con nuove proprietà, mulini colloidali per rendere possibile la
polverizzazione di farine frutta secca droghe ecc. ad un elevatissimo grado di
dispersione, apparecchi di distillazione a pressione ordinaria e nel vuoto, autoclavi
centrifughe, dializzatori. L’uso di questi apparecchi dovrà essere scientifico,
evitando p.es. l’errore di far cuocere le vivande in pentole a pressione di
vapore, il che provoca la distruzione di sostanze attive (vitamine, ecc.) a
causa delle alte temperature. Gli indicatori chimici renderanno conto
dell’acidità e della basicità degli intingoli e serviranno a correggere
eventuali errori: manca il sale, troppo aceto, troppo pepe, troppo dolce.
F.T. Marinetti
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