EPOPEA DELLA CUCINA FUTURISTA
La cucina futurista, regolata come il motore di un idrovolante per alte velocità,
sembrerà ad alcuni tremebondi passatisti pazzesca e pericolosa:
essa invece vuol finalmente creare un'armonia tra il palato degli uomini e
la loro vita di oggi e di domani.
Filippo Tommaso Marinetti
«Mangia con arte per agire con arte», sosteneva Filippo Tommaso Marinetti, il primo a rivoluzionare secondo i principii della cucina futurista la gastronomia in Italia e nel mondo. Per scoprire la storia e i segreti della cucina degli artisti futuristi, leggete il volume di Guido Andrea Pautasso, Epopea della cucina futurista, pubblicato (in 300 copie numerate) dalle Edizioni Galleria Daniela Rallo di Cremona.
www.guidoandreapautasso.com
http://vampirofuturista.blogspot.it/
Traduzione in lingua russa di Irina Yaroslavtseva
Переводчик: Ярославцева Ирина
sembrerà ad alcuni tremebondi passatisti pazzesca e pericolosa:
essa invece vuol finalmente creare un'armonia tra il palato degli uomini e
la loro vita di oggi e di domani.
Filippo Tommaso Marinetti
«Mangia con arte per agire con arte», sosteneva Filippo Tommaso Marinetti, il primo a rivoluzionare secondo i principii della cucina futurista la gastronomia in Italia e nel mondo. Per scoprire la storia e i segreti della cucina degli artisti futuristi, leggete il volume di Guido Andrea Pautasso, Epopea della cucina futurista, pubblicato (in 300 copie numerate) dalle Edizioni Galleria Daniela Rallo di Cremona.
www.guidoandreapautasso.com
http://vampirofuturista.blogspot.it/
Traduzione in lingua russa di Irina Yaroslavtseva
Переводчик: Ярославцева Ирина
mercoledì 10 ottobre 2012
MyChef.tv segnala Epopea della Cucina Futurista di Guido Andrea Pautasso
In un grazioso ed illustrato articolo su www.myche.tv viene segnalato il libro di Guido Andrea Pautasso, ECCOVI IL TESTO INTEGRALE...
La cucina futurista si sviluppò all'inizio del Novecento in concomitanza al movimento artistico-avanguardistico del Futurismo.
Movimento che spaziò dalla letteratura, alla pittura, alla scultura e non poteva non intervenire anche in ambito culinario dato il proposito di rinnovamento globale cui puntava con i propri interventi e provocazioni: il mangiare infatti si faceva veicolo di espressione per gli uomini della propria cultura, delle proprie ambizioni e del proprio stile di vita.
Il padre fondatore del Futurismo, Filippo Tommaso Marinetti, è anche l'autore del Manifesto della cucina futurista del 1931 e quindi l'iniziatore di questa disciplina: una vera e propria mordente lotta contro l'«alimento amidaceo», ovvero la pastasciutta, che viene vista come responsabile dell'infiacchimento e del pessimismo dei suoi consumatori.
Si ha però nella figura di Jules Maincave, un cuoco francese che aderì al movimento nel 1914, il precursore del futurismo a tavola. Egli era annoiato dalle tradizionali mescolanze di ingredienti, monotone e, a suo dire, anche stupide e si proponeva dunque di promuovere abbinamenti inconsueti che per tradizione erano aborriti: come banana e groviera, o aringa e gelatina di fragola. Il fine è un pranzo perfetto, fatto di originali vivande ed armoniosa preparazione della tavola con cristalleria e addobbi del caso, in accordo con colori e sapori di ciò che si mangia.
Questo sentore e questo proposito diedero propulsione al movimento e a Marinetti per l'ideazione di una cucina d'avanguardia, innovativa e coraggiosa, in grado di sconvolgere le consuete regole culinarie sin dalle basi: dagli ingredienti e dai metodi.
Nel Manifesto, infatti, Marinetti consigliava l'abolizione della pasta, ma anche di forchetta e coltello, dei soliti condimenti, del peso e del volume degli alimenti per valutarne il valore nutritivo, auspicando la realizzazione di pietanze mutevoli e nuove in piccoli bocconi carichi di mille sapori in uno, sotto consiglio di chimici e poeti, ma anche di musicisti e profumieri. Una cucina che accostasse alle pietanze profumi, musiche, poesie e sapori inusuali, dotandosi allo scopo di strumentazione atta a diffondere profumo di ozono nelle vivande (ozonizzatori) o a scomporre i preparati negli ingredienti di base (elettrolizzatori).
Dopo il lancio del Manifesto furono fatti innumerevoli banchetti e conferenze sia in Italia che in Francia, fu inaugurata la Taverna Santopalato, unico vero ristorante di cucina futurista, e nel 1932 venne anche pubblicato La cucina futurista di Marinetti e Fillia, aeropittore del periodo: l'umanità avrebbe dovuto alimentarsi con «nuovissime vivande in cui l'esperienza, l'intelligenza e la fantasia» avrebbero sostituito «economicamente la quantità, la banalità, la ripetizione».
L'offensiva futurista si presentò come una provocazione goliardica, una sfida nella creazione di piatti non commestibili: una rivisitazione non solo nei contenuti ma anche e soprattutto nelle forme. Fino al nome delle cose: "traidue" per dire sandwich, "pranzoalsole" per dire picnic, o "polibibita" per dire cocktail.
Un tipo di cucina tendenzialmente animalista, vegetariana e naturista in vista di una salute di ferro e di un fisico asciutto e dinamico, indispensabile a dar esempio nella vita quotidiana della dottrina agile, scattante e movimentata del futurismo stesso.
La taverna Santopalato di Torino, così chiamata dallo stesso Marinetti, fu il luogo della prima cena futurista, i cui menù erano illustrati dai pennelli degli aeropittori del futurismo (amanti del volo e del movimento), tra cui Medardo Rosso e Luigi Colombo.
La taverna venne inaugurata nel marzo del 1931 e i piatti serviti avevano nomi insoliti, anche se non tanto quanto lo erano gli ingredienti. Per far qualche esempio: l'Antipasto intuitivo, cestini fatti di buccia d'arancia pieni di salame e sott'aceti, il tutto trafitto di grissini, più bigliettini all'interno delle olive che andavano perciò sputati, dispiegati e letti ad alta voce al momento della degustazione; e il Golfo di Trieste, a base di riso, con un chilo di vongole sgusciate, salsa di cipolla e aglio, più crema di vaniglia.
Poi il Carneplastico, il piatto più noto, la cui "formula" (ricetta) è di Fillia: si presenta come un cilindro di carne di vitello ripieno di undici tipi di diverse verdure e sorretto da tre sfere di carne di pollo più un anello di salsiccia, il tutto coronato da uno strato di miele per «un'interpretazione sintetica degli orti, dei giardini e dei pascoli d'Italia».
E ancora l'Aerovivanda, ideata sempre da Fillia, un cibo tattile che prevede di mangiare con la mano destra mentre con la sinistra si accarezza una tavola ricoperta da carta vetrata, seta e velluto responsabile di sensazioni di movimento, rumore e musica, per un esperienza gastronomica totale.
E per finire, tra i dessert, le Marmellate italiane al sole della pittrice Marisa Mori, fatte da due sfere ricolme di pasta candita di mandorle, fragole fresche, zabaione e panna montata, il tutto cosparso di pepe forte e peperoncino rosso.
La cucina futurista era in sperimentazione sin dai primi anni dieci del Novecento, grazie al già citato Maincave, autore del Manifeste de la cuisine futuriste e sperimentatore di nuovi piatti che dovessero essere in grado di competere con altre forme d'arte, come letteratura e arti figurative, al fine di raggiungere l'opera d'arte totale come era anche auspicio di Marinetti.
Di Guido Andrea Pautasso, Epopea della cucina futurista del 2010 si presenta come il più esauriente volume dedicato a tale cucina, che espone ricette e aerobanchetti come esemplificazione della fusione vita-arte auspicata da Marinetti e con la cucina futurista resa realtà. «Mangiare con arte per vivere con arte», era il suo motto.
Il gesto artistico che si fa' gastronomico, cosa che allora sembrava una mera provocazione, adesso è alla base della nouvelle cuisine e della gastronomia moderna. E del resto, è da qui che pare provenire la tendenza degli chef a realizzare con cura anche la presentazione dei piatti, sempre più artistica e sempre più attenta ad accostamenti cromatici.
E tra i moderni chef, gli eredi degli eccentrici futuristi: da Gualtiero Marchesi con le sue associazioni di gastronomia e bellezza, leggerezza e invenzione, a Davide Oldani, Davide Cassi e Ettore Bocchia, che hanno dato vita al Manifesto della Cucina Molecolare italiana.
Redazione
giovedì 15 marzo 2012
Epopea della Cucina Futurista alla XXIII MOSTRA DEL LIBRO ANTICO A MILANO
mercoledì 14 marzo 2012
La Cucina Futurista: i misteri di un libro rivoluzionario di Guido Andrea Pautasso
La cucina futurista: i misteri di un libro rivoluzionario
A Fillìa cuoco/aeropittore futurista.
La cucina futurista raccoglie la summa dei principi del rinnovamento della cucina italiana lanciato da Filippo Tommaso Marinetti negli anni Trenta in nome del Futurismo e dell’arte d’avanguardia.
Il libro, scritto a quattro mani da Marinetti stesso assieme al vicesegretario del movimento futurista Fillìa (nome d’arte dietro al quale si celava Luigi Onorato Ermanno Colombo), nasconde tuttavia un’enigma irrisolto. Ancora oggi, a distanza di quasi ottant’anni dalla sua pubblicazione, non è dato sapere quale dei due futuristi ebbe per primo l’idea di pubblicare questo libro programmatico nel quale erano tracciate le linee direttive della gastrosofia e della cucinaria futurista.
Fu forse l’instancabile Fillìa, organizzatore di eventi culturali e artista torinese eclettico a riunire i manifesti, le recensioni, gli articoli e le ricette per il volume? Oppure fu come al solito Marinetti che, del libro scrisse un testo pubblicitario carico di aspettative e imbattibile dal punto di vista della commercializzazione, già due anni prima che la stessa Cucina futurista venisse pubblicata dalla casa editrice Sonzogno di Milano?
Al di là di questo suggestivo interrogativo irrisolto, il fascino del volume è dato dalla sua totale ed assoluta originalità.
Esso non è anzitutto classificabile come un semplice manuale di cucina, dato che racchiude appunto il fondamentale “Manifesto della cucina futurista” scritto nel 1913 dal cuoco francese Jules Maincave e poi riproposto da Marinetti già nel 1927 sulle pagine de “La Fiera Letteraria”. E poi il libro, come se non bastasse raccoglie le polemiche nate dopo la proclamazione della guerra contro la vituperata pasta asciutta, ed ha, a guisa di introduzione, uno splendido ‘racconto’ giallo intitolato “Un pranzo che evitò un suicidio”. Insomma, assieme alle ricette che completano il volume, La cucina futurista, appare in tutta la sua complessità un’opera unica ancora oggi da riscoprire.
Procediamo però per gradi e iniziamo dalla splendida copertina ordinata dai futuristi secondo precise intenzioni, per non utilizzare il termine ‘norme’, tipografiche.
Non è difficile pensare di partire dall’idea fondamentale per la commercializzazione di un qualsiasi libro che esso prima di essere letto debba anzitutto essere individuato tra i mille altri che campeggiano nelle vetrine delle librerie grazie soprattutto alla sua stupefacente copertina. Basandosi su questo principio di visual design, Marinetti e Fillìa -rifacendosi anche alle teorie costruttiviste del sovietico El Lissitzky-, pensarono di dare alla Cucina futurista una copertina assai visibile tra la moltitudine dei libri passatisti di gastronomia che avrebbero circondato il loro importante saggio. E così la copertina fu ‘costruita’ secondo uno schema tipografico elementare, articolando così lo spazio in due unità geometricamente contrastanti in base al colore. Di fatto la copertina anteriore è a stampa rossa su fondo giallo e vi campeggia in rosso, oltre ai nomi degli autori, soltanto la scritta -quasi ordinata con caratteri ‘da scatola tipografica’: «LA CUCINA FUTURISTA».
(La scelta dei caratteri ‘da scatola tipografica’ non è proprio una novità, poiché ricorda un altro libro del movimento, il pamphlet del lacerbiano Italo Tavolato intitolato Contro la morale sessuale del 1913. La sua copertina gialla ebbe impressa in nero una scritta semplice, quasi casuale, realizzata da Ardengo Soffici con dei caratteri appunto ‘da scatola tipografica’. Ma la scelta non fu poi così casuale, perché Soffici disse al tipografo di usare quell’insieme di caratteri proprio per enfatizzare l’impatto visivo del libercolo).
Il titolo del libro, La cucina futurista, distribuito lungo due linee orizzontali invisibili e spezzato in questo modo in due unità distinte e discrete, è stampato con carattere maiuscolo grassetto in un leggero crescendo di corpo che lo fa fuoriuscire dal bordo rosso: bordo in realtà chiamato ad incorniciare graficamente la copertina stessa (e che viene ripreso anche in quarta di copertina ma, questa volta, con un fondo bianco). Questo è un ‘giuoco’ tipografico ed ottico che porta a fare in modo che il termine «futurista», separato dalla parola «cucina», non sembri quasi essere contenuto dal libro stesso facendo in modo che idealmente il «Futurismo» sembri debordare dalla pagina per avventarsi sull’osservatore.
Il volume misura 18,3x12 centimetri, e consta di 267 pagine a cui vanno aggiunte 3 di catalogo editoriale e 14 riportanti alcuni “Giudizi sul Futurismo”. All’interno si trovano 8 disegni al tratto in bianco e nero nella sezione “Formulario futurista per ristoranti e quisibeve”: i disegni sono di Fillìa, di Paolo Alcide Saladin, di Mino Rosso e del dottor Vernazza (collezionista di opere di arte sacra futurista).
Inoltre il volume è caratterizzato da 4 illustrazioni su 3 tavole fotografiche in bianco e nero fuori dal testo, di cui una su doppia pagina. Le fotografie riproducono una tavola imbandita con “le prime vivande futuriste”; il Padiglione Italia-Ristorante Futurista progettato da Guido Fiorini per l'Esposizione Coloniale di Parigi del 1931; due pannelli decorativi realizzati da Enrico Prampolini per tale padiglione, con i due pannelli riprodotti in un'unica tavola.
La cucina futurista riporta 172 ricette di vivande e ‘polibibite’ -gli odiati cocktail- progettate dai due autori e da altri cuochi/artisti futuristi italiani. E infatti troviamo le formule proposte dal «pittore-aviatore, poeta e aeropittore» Fedele Azari, dall’ingegniere futurista Barosi, da Paolo Buzzi, dal pittore Angelo Caviglioni, dall’aeropittore Ciuffo, da Tullio D’Albisola, da Pascà D’Angelo, da Nicolaj Diulgheroff, dall’aeropoeta Escodamè, dal «Poeta-Record nazionale» Farfa, da Luciano Folgore, dal «parolibero» Armando Mazza, dall’aeropittrice Marisa Mori, dall’aeropoeta Giulio Onesti, dall’«aeropoeta e chirurgo» Pino Masnata, da Enrico Prampolini, dall’aeroscultore Mino Rosso, dal «critico futurista» Paolo Alcide Saladin, da Bruno Sanzin, dal dottore futurista Sirocofan (pseudonimo di Franco Rampa Rossi), da Giuseppe Steiner e dal fantomatico Dottor Vernazza. A queste vanno aggiunte la “Bomba alla Marinetti” del cuoco futurista Alicata, le ricette di Giachino, il proprietario del ristorante futurista “Taverna Santopalato” e del suo cuoco Piccinelli, e quelle delle signore Colombo-Fillìa e Barosi. Fa poi tenerezza leggere «Il latte alla luce verde»: poche righe scritte dalla signorina Germana Colombo, la giovanissima figlia di Fillìa.
La tiratura del libro è stata di 6.000 esemplari numerati a stampa al frontespizio e alcuni volumi, pochi, conservano la rara fascetta editoriale che va a posizionarisi teoricamente nello spazio giallo rimasto libero dalle scritte. Sulla fascetta editoriale è stampato il famigerato messaggio pubblicitario ideato da Marinetti due anni prima della sua pubblicazione: «Questo libro è più drammatico e più piccante di un romanzo poliziesco e di un romanzo erotico. La più grande agitazione polemica: 2000 articoli in tre mesi su tutti i giornali del mondo. Risposta ai difensori della pastasciutta. 200 formule di cucina futurista per ristoranti e quisibeve. I pranzi meno costosi e più rallegranti. Lire 5».
Il libro, una vera rarità bibliografica con la fascetta editoriale, fu ristampato per la prima volta da Longanesi per la collana “Il Cammeo” nel 1986, con in copertina la riproduzione di un quadro di Enrico Prampolini del 1932 intitolato Forme-forza nello spazio.
Una seconda ristampa della Cucina Futurista venne fatta in «edizione limitata fuori commercio per la Banca Tiberina di Mutuo Soccorso in occasione della riapertura della storica tipografia Lacroix in Roma nel maggio 1990». Il volume, con in copertina un disegno di Ardengo Soffici, è arricchito da 16 tavole a colori e in bianco e nero fuori testo, con riproduzioni di opere di Umberto Boccioni, di Ugo Pozzo, di Soffici, dalle pubblicità di Erberto Carboni, di Depero, di Diulgheroff e di Lucio Venna oltre ad alcune fotografie che riproducono il “bar Hagy” a Milano, Marinetti al banchetto di Tunisi del 1937 e Depero, immortalato accanto a un Distributore Automatico di Campari Soda nel 1933 (forse il primo distributore automatico di bibite apparso in Italia).
Nel 1998 l’editore Christian Marinotti ha riproposto il volume con il sottotitolo «Un pranzo che evitò un suicidio» adornato da quattordici tavole a colori originali fuori testo espressamente create dall’artista Maria Luisa de Romans, figlia di Franco Marinotti (Marinotti fu il fondatore, alla fine degli anni Trenta della città di Torviscosa, in provincia di Udine, una città autarchica, nata attorno alla fabbrica per la produzione di cellullosa ricavata dalla lavorazione della canna da zucchero, e poi utilizzata nella fabbricazione di fibre artificiali).
Pietro Frassica ha introdotto invece l’ultima ristampa del libro nel 2009, apparso nella collana “Cucina e Cultura” delle edizioni Viennepierre con una copertina arancione e rossa che riprende in parte l’idea di Fillìa e Marinetti dell’edizione originale del 1932. Il volume curato da Frassica presenta una fascetta editoriale rossa con stampato in bianco «Il ritorno in libreria di un classico rivoluzionario» e si conclude con una appendice stranamente assente (o censurata?) dalle altre ristampe, dove sono riprodotti alcuni scottanti giudizi sul futurismo, come quello di Benito Mussolini che all’epoca del “Santopalato” scrisse: «Sono dolente di non poter intervenire al banchetto offerto a F. T. Marinetti. Ma desidero che vi giunga la mia fervida adesione che non è espressione formale ma vivo segno di grandissima simpatia per l’infaticabile e geniale assertore di italianità, per il poeta innovatore che mi ha dato la sensazione dell’oceano e della macchina, per il mio caro vecchio amico delle prime battaglie fasciste, per il soldato intrepido che ha offerto alla patria una passione indomita consacrata dal sangue».
La cucina futurista ha avuto successo anche all’estero.
Il libro è stato tradotto e presentato in Francia da Nathalie Heinich nel 1982 per le Éditions A. M. Métailié di Parigi. La cuisine futuriste venne stampata con la collaborazione del Centre National de Lettres, e presentatac con in copertina un esperimento tipografico in chiave futurista di Catherine Guiraud.
Nel 1985 apparve Die Futuristische Küche, la traduzione tedesca del libro da parte di Klaus M. Rarisch per la Cotta’s Bibliothek Der Moderne. Lo stesso anno uscì anche La cocina futurista. Una comida que evitò un suicidio: libro tradotto in spagnolo da Guido Filippi e pubblicato dalla casa editrice Gedisa di Barcellona con una splendida copertina modernista di Julio Vivas. (Le edizioni straniere sin qui ricordate sono prive delle fotografie originali fuori testo presenti nell’edizione italiana di Sonzogno).
Un capolavoro di grafica e tipografia futurista è data dall’edizione inglese del 1989 di The Futurist Cookbook, edito dal londinese Trefoil, con la traduzione di Suzanne Brill e con l’introduzione di Lesley Chamberlain: un’edizione carica di riproduzioni fotografiche di manifesti, di scenografie, di quadri e di opere futuriste, di ritratti di Marinetti e di fotografie del ristorante “Santopalato”.
L’ultima traduzione pubblicata all’estero è del 2001, realizzata dalla casa editrice norvegese Spartacus. Il Futuristisk Kokebok, con l’introduzione di Andreas Viestad, accompagnato dalle fotografie di Asbjøn Jensen, riproduce La cucina futurista come se questa fosse solo un’opera di Marinetti, così come avviene tuttavia per le edizioni inglese e tedesca.
Ancora un mistero attorno a La cucina futurista?
L’assenza di Fillìa, scomparso giovanissimo nel 1936, è stata una scelta di carattere editoriale che rende ingiustizia all’artista torinese, come abbiamo visto geniale co-autore del libro assieme a Marinetti. E l’ingiustizia è ancora più grave se pensiamo che proprio Fillìa, con i suoi gesti artistici e i suoi esperimenti in cucina, è stato tra i primi futuristi ad aver avuto il coraggio di creare un’armonia nuova tra il palato degli uomini e la loro vita di oggi e di domani.
mercoledì 29 febbraio 2012
MARINETTI E IL FUTURISMO IN VERSILIA di Guido Andrea Pautasso
In anteprima per il lettori di www.cucinafuturista.blogspot.com il testo tratto nuovo libro in via di pubblicazione di Guido Andrea Pautasso intitolato Marinetti e la cucina futurista.
MARINETTI E IL FUTURISMO IN VERSILIA
Filippo Tommaso Marinetti soggiornò spesso in Toscana, e non solo a Firenze negli anni eroici del ‘Caffè Giubbe Rosse’ e di “Lacerba”.
“Il tattilismo”, l’ennesimo e provocatorio manifesto del capo futurista, nacque nell’estate del 1921 a casa di Primo Conti, ad Antignano, sulla costa labronica: «Nell'estate scorsa, ad Antignano, là dove la via Amerigo Vespucci, scopritore d'Americhe, s'incurva costeggiando il mare, inventai il Tattilismo. Sulle officine occupate dagli operai garrivano bandiere rosse. Ero nudo nell'acqua di seta, lacerata dagli scogli, forbici coltelli rasoi schiumosi, fra i materassi d'alghe impregnate di iodio. Ero nudo nel mare di flessibile acciaio, che aveva una respirazione virile e feconda. Bevevo alla coppa del mare piena di genio fino all'orlo. Il sole con le sue lunghe fiamme torrefacenti vulcanizzava il mio corpo e bullonava la chiglia della mia fronte ricca di vele». Il mare di Livorno fu dunque il palcoscenico ideale per una delle più ardite intuizioni e proclamazioni di Marinetti: «La Vita ha sempre ragione! I paradisi artificiali coi quali pretendete di assassinarla sono vani. Cessate di sognare un ritorno assurdo alla vita selvaggia. Guardatevi dal condannare le forze superiori della Società e le meraviglie della velocità. Guarite piuttosto la malattia del dopo-guerra, dando all'umanità nuove gioie nutrienti. Invece di distruggere le agglomerazioni umane, bisogna perfezionarle. Intensificate le comunicazioni e le fusioni degli esseri umani. Distruggete le distanze e le barriere che li separano nell'amore e nell'amicizia. Date la pienezza e la bellezza totale a queste due manifestazioni essenziali della vita: l'Amore e l'Amicizia».
Durante i suoi innumerevoli viaggi Marinetti si recò a Lucca, dove, nel 1933, presentò l’importante Mostra d’Arte Futurista voluta dal Gruppo Fascista “26 Ottobre 1920”, e andò a Pietrasanta, capoluogo della Versilia storica. Nel paese dove visse Michelangelo in molti affermano che egli si fosse recato alla Scuola di Belle Arti ad ascoltare le parole dello strambo e misconosciuto scultore Giulio Di Canale intento a proclamare il verbo rivoluzionario degli artisti futuristi agli attoniti studenti. Tuttavia, mentre non si ha alcuna certezza dell’incontro tra il pietrasantino e Marinetti, sicura invece è la presenza del leader futurista all’Elba. La piccola isola custodiva il buon retiro di Marinetti: un paesino chiamato Cavo, lontano dalla folla e dagli sguardi indiscreti. Qui, nella piazza centrale, Marinetti, in compagnia della moglie Benedetta, gustava in santa pace il cacciucco della ‘Locanda Pierolli’ godendosi i succulenti sapori del Mediterraneo.
All’inizio degli anni Venti, Viareggio era fervente di vita aristocratica, brillante e mondana e, oltre ad avere un forte richiamo turistico e vacanziero era da tempo una tra le località balneari predilette da artisti, da musicisti e da scrittori famosi come Pietro Mascagni, Luigi Pirandello, Marta Abba, Riccardo Bacchelli e Sem Benelli. Senza dimenticare poi che il litorale della Versilia, con l’avvento del fascismo, fu sempre più frequentato da importanti gerarchi del regime come Costanzo Ciano e Italo Balbo. Potevano mancare dunque all’appello Marinetti e il gruppo dei futuristi?
A Viareggio visse Giacomo Balla, e, seppur per poco tempo, vi abitò anche Fortunato Depero. Il futurista trentino soggiornò in un villino molto grazioso in via XX Settembre. In quelle piccole stanze Depero preparò i quadri da esporre all’importante Mostra d’arte d’avanguardia organizzata dall’avvocato Luigi Salvatori nelle sale del ‘Casinò Kursaal’ nel 1918, mostra alla quale partecipò assieme ad Enrico Prampolini, ad Ardengo Soffici e al giovanissimo Primo Conti.
Sempre al ‘Kursaal’, ma questa volta nel 1931, Marinetti incontrò Victor Aldo De Santis, ingegnere pistoiese vestito in maniera eccentrica. L’ingegnere rammenta così il fatidico rendez vous con il leader futurista: «Mi trovavo ad una festa da ballo al casinò Kursaal. La festa era all’aperto ed io ero abbigliato in maniera piuttosto anticonformista con un frac senza code: le code per me erano passatiste e le avevo fatte tagliare dal sarto. Era rimasto il giacchetto, naturalmente nero, con i bordi di raso: impeccabile. Senonché la novità maggiore veniva dalla camicia perché invece di avere uno sparato bianco con il fiocchino, lo sparato era di metallo. Io ero studente al Politecnico di Torino e lì, poiché studiavo le leghe leggere, avevo pensato di costruirmi uno sparato da sera con un metallo leggero. L’alluminio era trattato in maniera semilucida, tale che sembrava acciaio e per avere flessibilità era disposto in lamine chiodate agli estremi che lo facevano sembrare una corazza; sotto indossavo una camicia nera, e quindi i polsini che si intravedevano uscire dalla giacca erano neri. Non c’era niente di bianco perché, nella mia ideologia, tutto ciò che era bianco e inamidato ci riportava ad un’epoca passatista, romantica se si vuole, mentre noi eravamo proiettati verso il futuro, verso il trionfo del metallo». Marinetti, colpito dalla mise metallica, invitò l’ingegnere al suo albergo, ‘La Casina delle Rose’, e gli propose una collaborazione al movimento con uno scritto sulla moda futurista. Lo stravagante De Sanctis entrò allora in contatto con Fillìa, con Diulgheroff e con il gruppo dei futuristi torinesi; partecipò poi alla I Mostra Nazionale della Moda nella capitale sabauda e vinse il ‘Concorso per il Cappello Futurista’ bandito dal periodico “Futurismo” nel 1933 con un modello dotato di inserti di alluminio stile alettoni degli aeroplani.
In verità il vero ritrovo dell’élite degli artisti viareggini fu il Salone del ‘Bagno Nettuno’ sulla passeggiata. Al ‘Nettuno’ si riuniva da tempo il manipolo di proseliti della ‘Repubblica di Apua’: un cenacolo di artisti, intellettuali e rivoluzionari costituito da Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, che, all'inizio del secolo scorso e per un decennio, infiammò la vita culturale del paese. ‘Apuani’ erano Alceste De Ambris (poi con D’Annunzio a Fiume), Luigi Campolonghi, Enrico Pea -che a sua volta in un tavolino riservato al ‘Caffè Roma’ a Forte dei Marmi fondò un altro rinomato circolo di intellettuali, il ‘Quarto Platano’-, Gian Pietro Lucini, Giuseppe Ungaretti, Dante Dini, Luigi Salvatori e i pittori Giuseppe Viner e Moses Levy, solo per ricordarne alcuni tra i più famosi.
Il ‘Nettuno’ era un locale ancora liberty, e Krimer (Cristoforo Mercati) nel suo Sodalizio con Viani lo descrive come un perfetto luogo d’incontro per amici, marinai e artisti: «Capitavano verso sera ad uno ad uno. Viani li accoglieva con quel suo fare bonario e scanzonato, e raccontava loro le novità della giornata. Un giorno venne Marinetti. Fu festa grande». Già perché Viareggio era la città di Lorenzo Viani, un’artista irrequieto, anarchico e rivoluzionario ancor prima di essere fascista, che disdegnava i locali alla moda, come il ‘Restaurant Margherita’ o la ‘Pasticceria Milanese’, mentre amava invece la vita selvaggia, le osterie e le vinerie più antiche della riviera della Versilia.
Viani scorrazzava con gli ‘Apuani’ nei locali versiliesi ineggiando alla rivoluzione molto prima che arrivasse il futurismo, mentre Lucini, declamando i versi insurrezionalisti di Apua Mater (1906), rivendicava la costituzione della «Repubblica d’Apua», terra d’anarchia e di ribellione.
Gli ‘Apuani’, a parte le serate al ‘Nettuno’, si ritrovavano a Viareggio al ‘Caffè Tonicelli’ sul lungomare, da ‘Lazzaro’ o all’‘Osteria del Giglio’, o alla ‘Buca dei Vàgeri’ (nome datogli da Viani) in Piazza Grande. Il loro ristorante preferito tuttavia era il ‘Buonamico’: un posto alla mano e pittoresco dove pasteggiavano seduti tutti insieme ad «un tavolone lungo», brindavano con una marea di fiaschi di vino della Valdinievole e dei Colli di Ripa, e il vivandiere serviva «triglie rosse, ciortoni dalla schiena d’oro, ragni d’argento, sogliole di color nocciola» cotti ovviamente secondo le antiche e povere ricette della tradizione locale.
Viani, quando non discuteva di arte con Ruggero Sargentini e con il giovane Uberto Bonetti (aeropittore e creatore del ‘Burlamacco’, maschera sintetica, simbolo ufficiale dal 1931 del Carnevale di Viareggio e poi della città), incantava i locali avventori del vecchio ‘Bar Prometeo’ di via Ugo Foscolo con tranches de vie di cavatori, marinai e girovaghi da lui stesso definiti i «vàgeri». Al ‘Bar Shelley’ o al ‘Principe’, locali vicini alla Darsena, frequentati da eleganti sfaccendati, l’artista sorseggiava dei «ponci neri», ossia dei fortissimi caffè corretti, meglio definiti come dei «caffè agghiacciati, al ruhm», dei quali, lui stesso, nel libro dedicato all’amico Ceccardo (1922), insegnava la base per la preparazione: «rhum scaldato, bicchiere immerso nell’acqua calda, scorze di limone». E di bevute di ponce a garganella scrisse anche il livornese Ivo Senesi in Bichilì, ovverossia: telefono numero (X x 25) – 30 ≤ 1070 (1932): in “Cecchino”, il protagonista dell’omonima novella si ubriaca e muore per colpa dei troppi «ponci-torpedine».
Ma che cos’era veramente il ponce? Questa bevanda alcolica, nata a Livorno tra il XVII e il XVIII secolo, derivava dal punch inglese preparato con ingredienti e spezie particolari provenienti dalle colonie britanniche. Quello alla ‘livornese’ sostituiva al tè o all'acqua bollente il caffè, e al posto del Rhum, tipico liquore delle Antille, fu presa l’abitudine di usare il cosiddetto Rumme fantasia: una miscela di alcol, zucchero e caramello scuro, aromatizzato soltanto con dell’essenza di rhum, secondo un’antica ricetta originale del ragioniere Gastone Biondi della ‘Ditta Vittori’. A volte al posto del Rumme fantasia veniva aggiunta la mastice, un liquore di semi di anice verde macerati in alcol; e sia il rumme, sia la mastice sino ai primi anni del Novecento erano di solito fabbricati dal proprietario del locale nel retrobottega. Esistevano ovviamente delle varianti del ponce classico, date dalla mistura del rhum e della mastice o dall’aromatizzazione con limone o arancia. La variante del ponce detta «torpedine» era una versione rinforzata del ponce stesso e si effettuava aggiungendo alla polvere di caffè una puntina di zenzero che conferiva una sapore forte e piccante alla bevanda. Nonostante in molti ritengano che l’usanza di bere il ponce o la torpedine sia scomparsa con gli anni Cinquanta, ancora oggi i pochi locali rimasti ad offrire veri piatti tradizionali della cucina versiliese (vedi la ‘Trattoria La Silvietta’ a Querceta), lo offrono ai loro clienti come ottimo digestivo e corroborante.
Altra figura curiosa del mileu artistico viareggino fu Cristoforo Mercati, in arte Krimer: pittore, scrittore ed aeropoeta di Lucca che, come Viani, aveva stabilito il suo ‘regno’ in Versilia. Krimer, anche in qualità di direttore di “Tirrena. Rivista della Lucchesia e della Riviera della Versilia”, animava gli eventi artistici e culturali della litorale dandosi instacabilmente da fare per promuovere il verbo del gruppo marinettiano. Le sue aeropoesie, pubblicate in Ali (1930), Il Sole Innamorato (1931), Ho rubato l’arcobaleno (1933), furono delle singolari composizioni cosmogoniche chiamate ad esaltare la figura dell’aviatore-aedo in grado di entrare in contatto con il divino. Alcuni giudicarono i suoi versi come delle opere ‘romantiche’, ma Lorenzo Viani li definì più sinteticamente dei «minuetti aerei». Quei ‘minuetti’ furono magicamente illustrati dai disegni di Spartaco Di Ciolo, dello stesso Viani, dei futuristi Uberto Bonetti, Osvaldo Bot, Gerardo Dottori, Antonio Marasco, Thayaht (Ernesto Michaelles), Enrico Prampolini e anche di Krimer, che da pittore idolatrava la macchina ed esaltava il volo.
Nella vita lo scrittore lucchese fu legato da un’amicizia profonda con Fedele Azari e con il pilota ‘ribelle’ Guido Keller: alla loro memoria dedicò Aviatori (1935) e si guadagnò così il giudizio entusiasta di Marinetti che non esitò a definirlo «un poeta futurista alato». Angelo Giani, nell’introduzione alla storia dei palombari viareggini intitolata Uomini de l’Artiglio (1937), scrisse invece: «Krimer ama i marinai di Viareggio come pochi. Tutta la sua attività multiforme di giornalista e di scrittore -dalla poesia al dramma, dalla novella al soggetto per il cinema- è dedicata agli aviatori d’Italia e ai marinai di Viareggio. Krimer conosce i lupi di mare delle nostre calate; sa i nomi, le storie, le avventure; non da dilettante e superficiale, ma da conoscitore appassionato sa dirti quale è l’odore di ogni coverta, il colore di ogni vela, il sapore di ogni osteria». In realtà per Giani, Krimer, «futurista tra i futuristi», per le sue descrizioni vive, forti, vere e commosse fu «il più romanticone tra i futuristi di questo mondo».
Sino ad ora, dopo tante divagazioni, abbiamo scritto fondamentalmente della vecchia Versilia e di una Viareggio popolaresca, vernacolare e marinara, e delle osterie o dei ristoranti ‘rustici’ «al di qua del fosso» del Canale Burlamacca, cioè vicine al porto e alla darsena, o addirittura lungo il viale dei Tigli verso Marina di Torre del Lago, dove i turisti allora non avevano nemmeno il coraggio di entrare.
Con il passare degli anni, e soprattutto con il consolidarsi del regime fascista, sparirono i covi dei sovversivi. A Viareggio, sotto la canicola estiva si cantava il ritornello di una canzonetta spiritosa, la Spiaggia d’or: «Sulla spiaggia d’or/ la gioventù sorride allegra e spensierata:/ e nel sol che inonda le piazze/ vi è un effluvio di baci e fior,/ un trionfo di belle ragazze/ di sorrisi, di gioia, di amor…». All’epoca, lasciata alle spalle l’influenza dell’arte Decò e Liberty, non c’era ancora la guerra, sul litorale crescevano a vista d’occhio gli stabilimenti balneari, atterravano gli aeroplani nel campo di aviazione alla periferia della città e gli idrovolanti ammaravano a frotte nel Lago di Puccini a Massaciuccoli (con i piloti entusiasti che si riunivano a gozzovigliare nelle sale dello ‘Chalet Emilio’, come testimoniano i numerosi ritratti lasciati da Lucio Venna). Il regime fascista, trovatosi di fronte all’esplosione di un fiorente turismo, affidò a due importanti architetti all’avanguardia, Luigi Nervi e Giovanni Michelucci, la realizzazione in chiave moderna della nuova stazione ferroviaria della cittadina.
A Viareggio si moltiplicarono i ritrovi mondani sul lungomare: vennero alla ribalta, oltre ai veglioni al ‘Kursaal’ e ai the danzanti al ‘Caffè Margherita’, locali notturni come ‘Il Gianni Schicchi’ e il caffè sulla passeggiata ‘Da Poldo’, entrambi disegnati in maniera avveniristica e con un tocco di futurismo sempre da Michelucci; mentre al ‘Dancing Chang’ si tennero vivaci serate denominate non a caso ‘futuriste’. La gente si riversava sulla riviera, e di giorno, sotto il solleone, negli stabilimenti balneari (famosi ed eleganti erano il ‘Bagno Balena’ e il ‘Bagno Colombo’) i bagnanti osservavano il passeggio degli ospiti illustri, dei gerarchi e dei parvenu che ostentavano un benessere destinato però ad essere spazzato via dall’avvento della guerra.
La Versilia, già ‘scoperta’ da Gabriele D’Annunzio, e definita dal Vate «il più bel luogo dell’universo», attrasse profondamente il capo del Futurismo. Tant’è vero che nel 1935 egli dedicò a quel luogo magico ed affascinante alcuni versi roboanti del suo Aeropoema del Golfo della Spezia: «Apuane 20 chilometri di ondulata bontà verde e poi le Apuane che sembrano piatte e senza ombre tanto si sono svuotate dei loro pesanti marmi splendidi per schiacciare nemici in battaglia 4000 metri sulle Cave di Carrara Fulminee liquide maledizioni su noi che fuori rotta tentiamo orientarci colla bussola sopra paesaggi annegati Intanto collaudati nuovi motori aerei nelle cabine di alta quota tutti su nella crepitante altalena d’una sempre più fresca corona di rose dentate e triangoli di folgori a 8000 metri d’aria rarefatta. 8000 metri su Viareggio Lassù lassù dove si sentono sulle guance le seriche dolci guance di Dio ogni cacciatore angelo irto di tizzoni veloci sentendosi ad un tratto attaccato alle spalle spia nel suo diabolico specchio».
Marinetti, nonostante adorasse la mondanità di Viareggio, dove sotto un ombrellone nel 1929 era nato il famoso premio letterario, era rimasto incantato soprattutto dalla Versilia. Il fascino di quel luogo selvaggio e meraviglioso crebbe in lui anche grazie ai racconti dei fratelli Michaelles, Ram (Roger) e Thayaht (Ernesto), quest’ultimo pittore e scultore dalle linee sinuose, proto-fashion designer, inventore della T-Tuta, e ideatore di una curiosa “Dieta Futurista” a base di verdura cruda e frutta fresca. Thayaht infatti trascorreva le sue estati al Tonfano, vicino a Marina di Pietrasanta, in una splendida casa-studio chiamata la Casa Gialla, e assieme ad Enrico Prampolini intendeva far nascere nei pressi del lungomare una colonia futurista naturista. Sulla spiaggia di Fiumetto spesso i curiosi vedevano l’artista correre sulla sabbia con un marchingegno da lui progettato, il carro-vela, uno strano quadriciclo che catturava il vento e l’energia sul quale salì persino l’indomito Marinetti negli anni Trenta.
Come abbiamo visto, a incantare il capo del Futurismo furono le Alpi Apuane (alle quali Marinetti dedicò i versi poco noti de “Il Poema delle cave di Carrara”) e soprattutto la magia che sprigionava da un particolare lembo di terra, laddove le montagne parevano sposarsi con il mare. Quel luogo, chiamato ‘futuristicamente’ Vittoria Apuana, era un paradiso d’altri tempi e vi regnavano la pace, la vegetazione selvatica e a dominare era soprattutto la natura incontaminata.
Nell’allora piccolo villaggio di Vittoria Apuana, nei pressi di Forte dei Marmi, Marinetti visse lunghi e frequenti periodi di villeggiatura con la moglie Benedetta a Villa Amelia, la residenza estiva della famiglia Pellizzi. La villa fu costruita, per volontà del professor Giovan Battista Pellizzi, sul selvaggio arenile quando la Versilia non era ancora contaminata da un certo turismo di massa, non esistevano ancora gli stabilimenti balneari e le uniche ville costruite sul mare appartenevano al medico fiorentino, alla famosa attrice Maria Melato e all’artista Felice Carena. La casa di mattoni rossi dei Pellizzi, affacciata sul litorale, fu frequentata dai grandi nomi della cultura italiana del tempo, a partire da Giovanni Gentile.
Dopo lunghe nuotate, bagni di sole in spiaggia e regate in barca a vela, Marinetti, quando era a Vittoria Apuana andava con la bicicletta a trovare Carlo Carrà nella sua casetta costruita nella pineta di Roma Imperiale, e con questi pranzava alla ‘Barca’, suggestivo ristorante affacciato sulla spiaggia, allo ‘Chalet sul mare Versilia già Moderno’, fra il Ponte Caricatore e il fiume Cinquale. Oppure, per immergersi nella natura incontaminata, Carrà e Marinetti superavano la pineta e il Cinquale, per sedersi in un rustico ristorante all’aperto, ‘Dalla Giulia’, o andavano dalla ‘Catè’, al Poveromo, a mangiare i ‘tordelli’, il pollo alla cacciatora con le barbe, la frittura di mare, il baccalà marinato e l’anguilla fritta cucinati da Caterina Bonfigli Mugelli.
Spesso il futurista si faceva vedere al ‘Dancing’ del ‘Grand Hotel’, ma anche allo ‘Chalet Savoia’ oppure al centralissimo ‘Caffè Principe’ di Vasco Galli. A volte si spingeva dall’altra parte della strada e andava a salutare gli amici seduti al ‘Quarto Platano’ del ‘Caffè Roma’, dove attorno ad Enrico Pea si era creato un circolo di artisti e di intellettuali, animato da Mino Maccari, da Carena e dall’immancabile Lorenzo Viani. Il gruppo, lasciato il vicino e troppo rumoroso ‘Caffè Fissi’, aveva scelto un appartato tavolino del ‘Caffè Roma’ sotto il quarto dei platani che ombreggiavano il lato sinistro della piazza del Fortino. Per anni sotto a quel platano si sedettero a disquisire di arte e cultura Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Achille Funi, Alberto Moravia, Cesare Pavese, Giuseppe De Robertis, Carlo Carrà, Ardengo Soffici e Mario Tobino, solo per ricordare alcuni tra i volti più noti che parteciparono a quelle ‘riunioni’ speciali.
Il futurista Marinetti però non mancava mai ad un’appuntamento fisso e mondano: quello dell’aperitivo alla ‘Capannina’ di Achille Franceschi (figura di spicco della Forte dei Marmi dell’epoca e albergatore comproprietario dell’importante ‘Grand Hotel Royal’ di Viareggio). Franceschi, durante l’estate del 1929, restaurò un vecchio capanno degli attrezzi sul mare e cominciò a servire aperitivi ad aristocratici e industriali in vacanza al suono di un radiogrammofono a manovella, ben presto sostituito da un’orchestra jazz. Il nome del locale venne dato da una nobildonna fiorentina, una delle sorelle Suarez, che a Franceschi disse: «Bello questo posto, sembra proprio una capannina». E alla ‘Capannina’ si dice che Marinetti, prima dell’imbrunire, aspettasse di assistere all’ammaraggio dell’idrovolante S.62 di Italo Balbo, seduto con Enrico Pea e con Krimer (il già ricordato Cristoforo Mercati), con Galeazzo e Edda Ciano, e con Alessandro Pavolini (poi diventato Ministro della Cultura Popolare e Segretario del Fascio Repubblicano a Salò). Come scrive Giorgio Giannelli ne La bibbia del Forte dei Marmi (1980), quando Balbo arrivava col suo gigantesco idrovolante chiamava Franceschi col megafono e questi gli spediva a bordo di un pattino il barman Nico dotato di shaker, di ghiaccio e di bottiglie perché servisse in acqua l’aperitivo agli ammarati.
Balbo, ministro dell’aeronautica dal 1926 al 1933, all’epoca faceva la spola tra Roma, il Lago di Massaciuccoli e Forte dei Marmi: qui aveva costruito il ‘Campeggio ALA’, con un hangar di tela posizionato sulla spiaggia vicino alla pineta, e per giorni, come scrisse egli stesso visse «quasi da primitivo». Tra le tende, di notte, alla luce dei falò e di nascosto dalla folla, si sussurrava che avvenissero orge e baccanali con splendide fanciulle. Una lettera anonima informò Mussolini degli atteggiamenti compromettenti del gerarca che si dice portasse la sua amante (nota come la contessa S.S.) a trascorrere nottate di sesso nella tenda arredata con sfarzose pelli di leoni e di orsi polari. Le voci dei festini e dei disinvolti atteggiamenti di Balbo scatenarono le ire -ma anche la gelosia- di Mussolini che per ripicca fece chiudere il campeggio. In seguito, prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, anche ‘La Capannina’ venne chiusa per un breve periodo a causa di certi gerarchi che, in barba alle leggi sull’autarchia, si lasciavano andare a libagioni pantagrueliche seduti attorno a tavole illegalmente imbandite.
Inoltre per anni, si mormorò che il tragico abbattimento dell’aeroplano del quadrumviro Balbo da parte della contraera italiana a Tobruk nel 1941 fosse dovuto ad uno specifico ordine del duce. Secondo le voci di corridoio, Mussolini, stanco delle insinuazioni sulle pericolose ambizioni politiche di Balbo e soprattutto a causa dei suoi comportamenti immorali, fece colpire a tradimento il trimotore S.79 di Balbo in fase di atterraggio a Tobruk. E furono in molti a sostenere che la congiura fosse stata in realtà ordita da Curzio Malaparte per eliminare il fastidioso, potente e irriverente quadrumviro. Malaparte, colpevole o non colpevole che fosse, fu comunque condannato per le sue presunte malefatte ad un confino ‘dorato’ per cinque anni, condanna che fu spesa tra Ischia, Lipari e Forte dei Marmi.
La chiusura temporanea della ‘Capannina’ non fu la sola disavventura capitata al night-club fortemarmino. Nel 1939, il 21 febbraio, un violento incendio distrusse il capanno sulla spiaggia e ci vollero sessanta giorni perché quel piccolo tempio dello svago fosse di nuovo eretto su disegno dell’architetto d’interni Maurizio Tempestini. La ricostruzione fu fatta su di un progetto assolutamente non futurista che fece comunque perdere alla ‘Capannina’ quel suo fascino selvaggio e fuori dal tempo, rendendola tuttavia un locale più vasto, più accogliente e voluttuoso. Diventata poi un luogo simbolo della ‘Dolce Vita’ e di un epoca ormai tramontata, la ‘Capannina’ resta oggi un locale notturno storico, nonostante, dopo la gestione di Franceschi e la trasformazione in una discoteca, sia stata snaturata e non goda più di quell’atmosfera esclusiva e dello charme di un tempo.
sabato 18 febbraio 2012
FOR US READERS You can find Epopea della Cucina Futurista in the Yale University Library Catalog
In the USA the readers could find also the book Epopea della cucina futurista by Guido Andrea Pautasso in the newORBIS Yale University Library Catalog
http://neworbexpress.library.yale.edu/vwebv/holdingsInfo?searchId=990&recCount=50&recPointer=33&bibId=9689016
Siamo orgogliosi della catalogazione di Epopea della Cucina Futurista nella Biblioteca dell'Università di Yale dove è custodito l'archivio di Filippo Tommaso Marinetti, padre e capo del FUTURISMO
sabato 11 febbraio 2012
Roberto Guerra Futurismo per la nuova umanità e Epopea della cucina futurista
Guido Andrea Pautasso autore di Epopea della cucina futurista (Edizioni Galleria Daniela Rallo) ringrazia personalmente Roberto Guerra per l'attenzione dedicatagli in FUTURISMO PER
LA NUOVA UMANITÀ. Dopo Marinetti: arte, società, tecnologia (Armando Editore Roma).
Riportiamo le parole di Roberto Guerra tratte da FUTURISMO PER LA NUOVA UMANITÀ
«Al di là di «Futurismo Oggi», sempre nel secondo Novecento, da segnalare,
qua e là esperienze neofuturiste, per iniziative alcune anche molto
autorevoli, ma di carattere soprattutto individuale o etichettate con neogriffe
anche tattiche… Su tutti, l’italo-francese Daniel Schinasi (Manifesto
del 1966-1970), pittore. Lo stesso notissimo Enrico Baj lanciò a cavallo
del Duemila un nuovo manifesto, d’ispirazione persino ecologica. Testimonianza
in controluce anche di parecchia cosiddetta avanguardia (o anche
transavanguardia o pop art italiana) visiva spesso etichettata con altro
nome, soprattutto certi cosiddetti spazio-nucleari, debitrice proprio del Futurismo
(anche riconosciuto spesso dai protagonisti artisti, Munari, Schifano,
o Crippa). Da segnalare, recentemente, anche Guido Andrea Pautasso
con un superbo Epopea della cucina futurista.
Tutt’oggi attivi sono anche
Marco Lodola e il cosiddetto Nuovo Futurismo neopop, promosso da Renato
Barilli e altri. Parecchi anche gli input futuristici, almeno nella video
art o musica techno-pop, da Nam June Paik ai Kraftwerk, gli stessi David
Bowie, Devo, Gary Numan, John Foxx, Depeche Mode, Laurie Anderson
e Brian Eno (poi a Roma, quest’ultimo, nel centenario del 2009).»
http://www.estense.com/?p=195558
http://www.google.it/search?hl=it&gl=it&tbm=nws&btnmeta_news_search=1&q=futurismo&oq=futurismo&aq=f&aqi=&aql=&gs_sm=s&gs_upl=0l0l0l4219l0l0l0l0l0l0l0l0ll0l0
http://futurguerra.blogspot.com/2012/01/futurismo-per-la-nuova-umanita-armando.html#links
http://www.armando.it/
http://lasinorosso.myblog.it/archive/2012/01/31/roberto-guerra-futurismo-per-la-nuova-umanita-rassegna-stamp.html
http://www.transumanisti.it/3_articolo.asp?id=90
http://www.bol.it/libri/Futurismo-nuova-umanita.-Dopo/Roberto-Guerra/ea978886677002/
SALUTI FUTURISTI A ROBERTO GUERRA
giovedì 19 gennaio 2012
martedì 17 gennaio 2012
lunedì 16 gennaio 2012
Guido Andrea Pautasso sulla rivista "CHARTA" pubblica "L'AEROCUCINA. Marinetti e il sogno utopico della culinaria futurista"
SU "CHARTA" rivista di ANTIQUARIATO COLLEZIONISMO MERCATO n.119 di gennaio 2012 è stato pubblicato l'articolo di Guido Andrea Pautasso: AEROCUCINA. MARINETTI Ehttp://www.blogger.com/img/blank.gif IL SOGNO UTOPICO DELLA CULINARIA FUTURISTA
http://www.rivistacharta.it/2011/12/il-numero-119-di-charta-e-in-edicola/
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