Marinetti e Dante o della
Divina Commedia futurista
In occasione del
VII CENTENARIO DANTE ALIGHIERI (1265-1321)
Nel febbraio del 1909 Filippo Tommaso Marinetti fondò il movimento d’avanguardia futurista e, nella stesura del suo primo manifesto teorico, proclamò di voler «dar fuoco agli scaffali delle biblioteche» e di voler deviare «il corso dei canali per inondare i musei».
L’iconoclastia incendiaria dei futuristi doveva rivolgersi contro i rancidi romanticismi dell’arte classica, sovvertire le istituzioni politiche tradizionali, eliminare drasticamente la cultura clericale e la retorica professorale e accademica, oltre a tutte quelle manifestazioni artistiche che, a loro dire, appartenevano al passato. Il Futurismo si scagliava contro i precetti della morale borghese, contro i nemici della modernità che si annidavano tra quelle «menti in putrefazione già promesse alle catacombe delle biblioteche», per affermare nel mondo i principi propedeutici alla formazione di una nuova umanità. La rivoluzione antropologica lanciata dai futuristi si fondava sul mito dell’avvento della civiltà industriale e dell’era tecnologica, e l’avanguardia futurista, che rappresentava un gruppo d’ingegni coraggiosi che tentavano un rinnovamento radicale dell’arte e della mentalità italiana, non ammetteva «né leggi, né codici, né magistrati, né poliziotti, né lenoni, né eunuchi moralisti». Il Futurismo individuò come suoi nemici dichiarati i maestri della letteratura del passato assurti ad emblema della più alta tradizione lirica e culturale italiana: ovvero – andando a ritroso – Gabriele D’Annunzio, Giosuè Carducci, Benedetto Croce, Antonio Fogazzaro, Giovanni Pascoli, Alessandro Manzoni, Giacomo Leopardi, financo Niccolò Macchiavelli, Ludovico Ariosto, Torquato Tasso e Dante Alighieri.
Marinetti, nel redigere una sorta di immaginaria lista nera dei libri da bollare con l’accusa di passatismo, inserì anche la Divina Commedia e in una delle prime raccolte dei suoi testi teorici intitolata significativamente Guerra sola igiene del mondo, dichiarò in maniera perentoria: «Noi vogliamo che l’opera d’arte sia bruciata col cadavere del suo autore. Ciò che sopravvive del Genio spento non ammorba forse di nostalgia, di prudenza e di paurosa saggezza il Genio vivente? Chi negherà che la Divina Commedia altro non sia oggi che un verminaio di glossatori? A che pro avventurarsi sui campi di battaglia del pensiero quando la mischia è finita, per numerare i morti, studiare le belle ferite, raccogliere le armi infrante e i bottini abbandonati, sotto il volo pesante dei corvi dotti e il loro sbatacchiar d’ali cartacee?».
Il messaggio di Marinetti, schierato in prima fila al fianco dei nazionalisti e degli interventisti più agguerriti, era assai chiaro: alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale il nemico dei futuristi italiani era chi si fossilizzava a studiare il suo poema invece di andare sui campi di battaglia, in trincea, a combattere per la patria. Secondo il Futurismo, l’artista, lo scrittore, il «Genio vivente» e l’italiano nuovo dovevano abbandonare la lettura dei classici e, oltre ad assumere i panni degli innovatori che con estrema originalità rompevano con la tradizione del passato, dovevano scagliarsi coraggiosamente verso il futuro, verso un’arte fatta di «violenza, crudeltà e ingiustizia». L’attacco mosso da Marinetti contro i passivi lettori di Dante, intitolato “La ‘Divina Commedia’ è un verminaio di glossatori”, venne inserito in Guerra sola igiene del mondo, raccolta di alcuni scritti dati alle stampe cinque anni prima in Francia, con il titolo Le futurisme, tradotti da Decio Cinti e ripubblicati, «scopo propaganda», con l’aggiunta di nuovi testi politici e polemici nel 1915. Quello stesso anno il «Sommo Capo del novo Parnaso Futurista» Marinetti diventò uno dei conclamati protagonisti de La profana commedia. Poema tragicomico in 34 canti, parodistica riscrittura in chiave militarista-futurista dell’opera dantesca realizzata dal nobile napoletano Francesco De Goyzueta a sostegno dell’interventismo più sfrenato.
Marinetti però non aveva in odio né Dante né la Divina Commedia, della quale non metteva affatto in discussione i valori creativi (al punto che egli la utilizzò come una tra le fonti di ispirazione per l’impianto e la stesura del suo romanzo politico-allegorico Gli Indomabili del 1922). Il doveroso rispetto di Marinetti per Dante Alighieri era dovuto al fatto che sua madre, durante l’infanzia e l’adolescenza, gli aveva inculcato un vero e proprio culto della Divina Commedia, educandolo al tempo stesso alla «devozione a Gesù» e a una visione pauperistica e francescana del cristianesimo; e persino la sua formazione scolastica tradizionale si era basata sulla lettura dei capolavori di Rousseau, di Baudelaire, di Leopardi, di D’Annunzio e, ovviamente di Dante.
Questa formazione culturale e ideologica portò Marinetti sia a riconoscere come una sorta di padre della patria Dante Alighieri, sia ad insistere nell’affermare che «l’italianità» contenesse al tempo stesso, oltre allo scrittore della Divina Commedia, «Michelangelo Rossini Verdi Bellini D’Annunzio Boccioni Pirandello», senza poi dimenticare l’immaginifica scultura di Michelangelo Buonarroti e il genio creativo di Leonardo Da Vinci. Si trattava di un mix esplosivo di classicismo e di modernolatria che rifletteva appieno la complessità visionaria contraddittoria ed estrema del movimento futurista, e che si riverberava nei proclami provocatori e radicali lanciati contro Roma, Venezia e lo stato italiano giolittiano e passatista per la rinascita dell’Italia moderna, laddove il leader dei futuristi sembrò riprendere proprio gli strali gridati da Dante contro Pisa, Firenze e l’Italia stessa: «Ahi serva Italia, di dolore ostello. / Nave senza nocchiero in gran tempesta. / Non donna di province ma bordello!».
Nonostante il suo furore antiaccademico, Marinetti – quasi a subire una anticipata pena del contrappasso – venne nominato nel 1929 Accademico d’Italia e fu chiamato a presiedere la classe di Lettere (successivamente ricevette anche l’incarico di Segretario nazionale del Sindacato Nazionale Autori e Scrittori). Il capo dei futuristi, una volta insignito del prestigioso incarico, venne quasi costretto dal regime fascista a mettere a punto una revisione del suo concetto di passatismo per portare alla luce proprio quei valori significativi della tradizione letteraria e culturale italiana rappresentati dalle opere precedentemente incriminate di Leopardi, di Ariosto, di Tasso, e ovviamente di Dante Alighieri.
La riscoperta futurista e marinettiana dell’opera dantesca avvenne in occasione della conferenza Valori futuristi di simultaneità nella “Divina Commedia”, tenutasi alla Casa di Dante a Roma il 7 maggio del 1939. Allora intervennero Marinetti, che propose le sue teorizzazioni sulla “Simultaneità parolibera della Divina Commedia” (poi pubblicata il 19 novembre dello stesso anno sul quotidiano “Meridiano di Roma”), e il «venticinquenne capogruppo dei futuristi sardi» Gaetano Pattarozzi, autore dell’Aeropoema futurista della Sardegna, che per l’occasione lesse al pubblico alcuni versi del sommo poeta.
Durante la conferenza, Dante fu insignito della irriverente e anti-canonica patente di futurista con un acceso proclama di Marinetti che, nonostante non parlasse di innovazione tipografica assoluta della Divina Commedia, dichiarò al pubblico: «Con l’addensare la maggior quantità possibile di significati e di musicalità tra virgola e virgola o premendo contro la chiusa della virgola Dante Alighieri desidera e ottiene movimento e talvolta velocità al punto che noi gli gridiamo “fa saltare l’intera punteggiatura e otterrai nel cozzo di vari tempi di verbi una slittante simultaneità tale da colorare della tinta di questo aggettivo il sostantivo o il verbo lontani perfezionando colle parole in libertà l’amplesso spirituale delle cose e captando l’inesprimibile unità dello spirito motorizzato dal disordine”». Inoltre il fondatore del Futurismo proclamò che non vi potesse essere migliore portavoce dello spirito moderno se non Dante, «perché nella sua potenza espressiva plastica musicale si manifesta il più trasfiguratore il più denso il più crudo il più esplosivo il più sintetico con una preoccupazione di rapidità al punto di cercare dovunque vele gonfie di vento gambe di cani cavalli e ladri uragani e onde in tempesta ai quali paragonare lo slancio dei suoi personaggi». E, a guisa di conclusione, Marinetti sottolineò con tono profetico che fosse giunto il momento di «collaudare la forza spaventante dell’Inferno sul più spaventoso lurido-eroico campo di battaglia»: la profezia del futurista purtroppo si avverò quattro mesi dopo, quando con l’invasione tedesca della Polonia scoppiò la seconda guerra mondiale.
Guido Andrea Pautasso