EPOPEA DELLA CUCINA FUTURISTA

La cucina futurista, regolata come il motore di un idrovolante per alte velocità,
sembrerà ad alcuni tremebondi passatisti pazzesca e pericolosa:
essa invece vuol finalmente creare un'armonia tra il palato degli uomini e
la loro vita di oggi e di domani.
Filippo Tommaso Marinetti

«Mangia con arte per agire con arte»
, sosteneva Filippo Tommaso Marinetti, il primo a rivoluzionare secondo i principii della cucina futurista la gastronomia in Italia e nel mondo. Per scoprire la storia e i segreti della cucina degli artisti futuristi, leggete il volume di Guido Andrea Pautasso, Epopea della cucina futurista, pubblicato (in 300 copie numerate) dalle Edizioni Galleria Daniela Rallo di Cremona.

www.guidoandreapautasso.com
http://vampirofuturista.blogspot.it/

Traduzione in lingua russa di Irina Yaroslavtseva

Переводчик: Ярославцева Ирина



giovedì 30 marzo 2017

3 il nuovo bitter di Luca Crinò - Cucina Futurista





NUMERO 3 IL BITTER FUTUR-MAGICO DI LUCA CRINÒ

«UN BITTER E TRE, IL NUMERO DELLA PERFEZIONE. A QUESTA ASPIRA UNA COMBINAZIONE CHE DIRESTI INCONSUETA, FRA UNA RADICE CHE ESCE DAL BUIO DELLA TERRA E FRUTTI DI ALBERI E ARBUSTI, CHE IL SOLE RICEVONO DIRETTO. SAPORE EMERGENTE DA MESCOLANZE NUOVE, TRATTE DA INGREDIENTI ANTICHI, UN COLORE CHE VIENE DALLA NATURA. E RICONOSCERAI LA SUA TINTA, SOLA O NEL MISCELARSI, E OVUNQUE IL SUO FRAGRANTE PROFUMO: L’EFFETTO D’UNA RICERCA CONTINUA, CHE PORTA CON SÉ LA STORIA DEI PASTICCERI, ALCHIMISTI DELLA CUCINA».
Luca Crinò

Tre, anzi 3, è un numero magico.
Secondo la tradizione celtica, il numero Tre incarna la perfezione; in Cina esprime la fusione di Terra, Uomo e Cielo; per i cristiani Dio è uno e trino, Padre, Figlio e Spirito Santo. Mentre secondo la cultura ebraica la lettera numero tre dell’alfabeto indica il dinamismo e l’evoluzione.
3 in realtà è il nome del nuovo Bitter artigianale, dalla formula esclusiva, ideato da Luca Crinò della Pasticceria Massimo 1970, filosofo della nuova cultura del bere italiano, barman e bartender sperimentale, ma anzitutto sapiente alchimista del bere miscelato.
Capace di stupire con il Vermouth NUMERO 7, Crinò ha osato mettersi in gioco e ha proposto il suo personale Bitter, perché, come diceva Umberto Boccioni, nell’arte bisogna saper osare e lo stesso vale per quanto concerne la dimensione della miscelazione dei liquori e delle bevande.
Chi osa vince, ma l’arditezza di Crinò e il segreto del suo successo reale nella preparazione del Vermouth NUMERO 7 e adesso del suo Bitter NUMERO 3, non nasce da una serie di tentativi azzardati, di fusioni fortunate o di accostamenti radicali e casuali, semmai si basa sulla consapevolezza e sulla maestria nella manipolazione delle essenze e degli aromi che, a loro volta, si vanno a coniugare con l’estro e la fantasia, e si appalesano in un Bitter assolutamente unico, innovativo, fragrante, profumato e soprattutto naturale.
Frutto di una evoluzione del gusto e del sapore, Bitter NUMERO 3 esprime al meglio l’emozione che Luca Crinò riesce a trasmettere ai suoi cocktail, capaci di far «percepire ogni vibrazione, ogni emozione della vita» e di far «viaggiare con i pensieri, quelli emozionali, per guardare lʼinfinito e non fermarsi allʼorizzonte», come ammette lui stesso.

Interrogato sulla preparazione del suo speciale Bitter NUMERO 3, Crinò non svela l’insieme delle materie prime e delle mescolanze che lo costituiscono (e io stesso non svelerò nulla di quello che ho percepito nell’assaggiarlo, e mi limiterò a rivelare soltanto una straordinaria nota di marasca e di agrumi). Da perfetto alchimista moderno, Crinò insiste sul fatto che il segreto di Bitter NUMERO 3 consiste in una miscela di aromi e di essenze in grado di fare in modo che la fantasia prenda il potere, anzi esploda in una serie di mirabolanti creazioni che incarnano delle vere opere d’arte miscelate.
Lo sguardo di Crinò, illuminato come un arazzo di Depero, la sua ferma volontà di portarsi avanti e oltre la tradizione classica del bere miscelato, che ricorda i gesti provocatori ma risolutivi del rivoluzionario Filippo Tommaso Marinetti, e la sua lucida capacità operativa di barman, inequivocabilmente futurista, rivelano al pubblico la natura di mago, di creatore e di ricercatore di sapori nuovi però sapientemente basati su di una cultura antica: una definizione che esprime il vero carattere di Luca Crinò e che è fondata su tre termini precipui, proprio come vuole 3, il suo Bitter artigianale.

Guido Andrea Pautasso



mercoledì 15 marzo 2017

Gran pranzo futurista thayaht di Guido Andrea Pautasso - Cucina futurista



GRAN PRANZO FUTURISTA
Direttore di cucina: THAYAHT

Ritratto di Thayaht, artista futurista

Thayaht ritratto cucina futurista
Thayaht, nome d’arte di Ernesto Michaelles, fiorentino d’adozione, cittadino svizzero e bisnipote del padre della scultura americana Hiram Powers, atletico, slanciato, elegante, aristocratico, fu descritto dallo scultore Antonio Maraini (nel volume Ernesto Thayaht, scultore pittore orafo) come esteta, la cui ricercatezza era «espressione genuina di un dandismo tutto naturale», e come artista che aveva abbracciato il futurismo quasi questo fosse «un precetto morale», «una norma e uno stimolo di vita». Mentre il figlio di Antonio, Fosco, all’epoca fotografo futurista, riconosceva a Thayaht di essere dotato di un talento «assai fuori dal comune» che lo portò a disegnare e a dipingere «in tre o quattro stili diversi», a scolpire «in chiave tradizionale» o da «futurista spinto», e a spaziare in tutti i campi dell’arte – anche in quelle applicate – come «oreficeria, ceramica, moda femminile e maschile, manifesti pubblicitari, rilegature, fotografia, cravatte, nudi, arte esotica, archeologia».
Forse fu proprio questo disordine creativo di stampo avveniristico a spingere Thayaht ad avvicinarsi al movimento futurista: avvicinamento non affatto casuale, dato che egli stesso si considerava molto più futurista dei futuristi, come scrisse in un appunto datato 27 e 28 aprile del 1929: «Gita a Lucca per far conoscenza con F.T. Marinetti, futurista. Forse aderirò al Movimento. Sono più futurista io di loro!». 
L’incontro con Marinetti, presentatogli a Lucca dal suo amico e compagno di scuola Primo Conti, assieme al compositore Franco Casavola e all’artista Fedele detto Dinamo Azari, gli fu fatale. Da allora Thayaht abbracciò definitivamente il Futurismo e dette vita a scultoree sintesi plastiche e ad «esplosioni pittoriche» che Rinaldo Cortopassi, nello scrivere delle opere esposte alla I° Mostra Estiva Viareggina del Sindacato Artisti nel 1934, definì delle pure espressioni di «Dinamismo; simultaneità di toni e di valori, e di rapporti; sintesi. Gioia di colore determinante masse in moto, linee e giri di forze; luminosità diffusa ed iridescente».
Pittore – soprattutto aeropittore – e scultore dalle linee sinuose, Thayaht presentò le sue opere nelle occasioni ufficiali del movimento futurista: fu invitato a partecipare a diverse Biennali a Venezia, alle Quadriennali d’Arte Nazionale a Roma, e alle mostre organizzate alla celebre Galleria Pesaro di Milano. Inoltre organizzò, assieme ad Antonio Marasco, l’importante Mostra Futurista Toscana nella Galleria d’Arte di Palazzo Ferroni a Firenze: esposizione, presentata nel 1931 da Marinetti, che ebbe uno straordinario successo di pubblico, con quasi duemila visitatori.
Inventore eccezionale, Thayaht, che si interessò di teosofia, di fenomeni paranormali e di esoterismo, ideò la Traiettiva, ovvero una teoria basata sia sull’evoluzione della rinascimentale scienza prospettica, sia sui principi formulati dal architetto, artista e teosofo americano Claude Bragdon nel saggio Four dimensional vistas (1930); e  creò una lega speciale in alluminio ed argento destinata all’oreficeria e alla produzione di medaglie chiamata Taiattite (con la quale vinse la medaglia d’oro all’Esposizione Internazionale di Barcellona nel 1930); si occupò di architettura e di scenografia: assieme al fratello Ram (Ruggero Michaelles) elaborò il progetto Case in serie. Brevetto per Casolaria (Casa Razional Estendibile); progettò un Teatrino all’aperto per l’Opera Nazionale Dopolavoro di Marina di Pietrasanta; realizzò decorazioni, sculture e arredi destinati a decorare l’esterno di ville e palazzine in Toscana e in Versilia. Inoltre Thayaht elaborò il brevetto dell’apparecchio Fotoscena, da utilizzare per costruire piccole scene tridimensionali con fotomontaggi ed effetti speciali; disegnò mobili esposti all’Esposizione Internazionale d’Arti Decorative a Monza nel 1923 e nel 1927, e preparò i bozzetti per tende e arazzi, e tappeti e cuscini poi realizzati dall’Opera Mutilati di Firenze. Guardando ad un naturismo virile, energetico, sportivo e guerriero, igienico e lontano dalle tendenze nudiste, Thayaht, assieme al pittore e scenografo Enrico Prampolini, progettò la creazione della prima Colonia futurista naturista italiana, da far nascere nei pressi del lungomare tra Marina di Pietrasanta e Forte dei Marmi.
Capolavoro assoluto dell’inventiva di Thayaht fu la realizzazione di una ingegnosa opera tecnologica: il Carro-vela, quadriciclo dotato di randa, fiocco e volante, progettato per sfrecciare sulla sabbia e sulla battigia stringendo il vento di bolina come se il pilota si trovasse a bordo di una barca a vela impegnata in una regata e la cui velocità, dichiarata dall’artista, era di «50 km. l’ora col maestrale e i 70 col libeccio».
Proto-fashion designer, ancor prima di proclamarsi futurista, Thayaht, assieme al fratello Ram, creò, tra il 1919 e il 1920, la T-Tuta o Tuta a linee rette: abito in grado di andare oltre tutti i criteri formali delle collezioni di moda e contro ogni tipologia di linguaggio sartoriale. A parte le creazioni realizzate a Parigi per l’atelier della stilista francese Madame Vionnet, Thayaht disegnò una gamma di modelli di abiti e di accessori destinati a cambiare la moda maschile e femminile in maniera estremamente fantasiosa, come i cappelli futuristi di paglia, nati Per il sole e contro il sole, pensati in funzione di un loro utilizzo in condizioni atmosferiche e in ambienti particolari.
Ritenendo necessaria la realizzazione di una moda caratterizzata dal vestire vivace, colorato, semplice e pratico, Thayaht pubblicò nel giugno del 1930 il manifesto “Estetica nel vestire. Moda solare, moda futurista”, nel quale si dichiarò contrario alla «monotonia estetica» e alle «formule del vestire create sotto ai cieli grigi e tristi delle metropoli nordiche», basate su «colori neutralizzati», adatti «per nascondere la polvere e il sudicio» e per questo «fondamentalmente antiluminosi, antiigienici e antigiovanili». Così, in nome di un radicale rinnovamento della moda e assolutamente in anticipo sui tempi, l’artista-stilista futurista ipotizzando la creazione ante-litteram di un stile Made in Italy, invocò la costituzione di una vera e propria «moda nazionale» attraverso la quale realizzare abiti sintetici ma carichi di valori estetici e liberati da ogni possibile «infagottatura e costrizione».

THAYAHT: DIRETTORE DI CUCINA FUTURISTA

Attratto dal «perfezionamento fisico e spirituale dell’uomo», in nome di «un trionfo di una vita rinnovata utile all’individuo e alla nazione, intimamente legata alle possibilità della natura» – come scrisse in “Dieta agilizzante” (testo che analizzeremo nel dettaglio in un prossimo saggio sul blog), Thayaht si avvicinò ai principi filo-naturisti propagandati dai futuristi che invocavano l’avvento «di una alimentazione italiana, di una tipica vita legata alle forze della nostra natura, di una moda e di un’arte italiana» (per usare le parole di Fillia inviate all’artista in una cartolina del 1935) e, lui stesso si prodigò per la realizzazione di un pranzo futurista altamente spettacolare destinato a celebrare anche a Firenze la creatività della gastronomia del movimento marinettiano.
Forse fu proprio questa particolare attrazione dimostrata nei confronti dei programmi culinari proposti dai futuristi a far sì che Marinetti e Fillia citassero, nella summa della Cucina Futurista, la figura di Thayaht, ricordandolo come aeroscultore nella «formula» pensata per il “Pranzo aeroscultoreo in carlinga”:

«Nella grande carlinga di un Trimotore, fra le aerosculture di metalli applicati dei futuristi Mino Rosso e Thayaht, i commensali prepareranno una pasta di fecola di patate, cipolline, uova, polpa di gamberi, pezzi di sogliola, pomodoro e polpa di aragosta, pandispagna e gallette tritate, zucchero semolato e profumato alla vaniglia, frutta candite e formaggio gruyère, innaffiata abbondantemente con Vin Santo toscano. Ne riempiranno undici stampi (spalmati di burro e infarinati) ognuno di una forma tipica di montagna, burrone, promontorio o isolotto. Li faranno tutti cuocere elettricamente. Gli 11 pasticci, liberati poi dagli stampi, saranno serviti su un grande vassoio al centro della carlinga, mentre i commensali palleggeranno e divoreranno masse di chiara d’uovo montata a panna come fa il vento fuori coi cirri e coi cumuli bianchi».

Nonostante la citazione nel volume di Marinetti e Fillia per meriti artistici, Thayaht ebbe la sua consacrazione ufficiale a «direttore di cucina» futurista soltanto nel 1934. Tale riconoscimento fu rilasciato all’artista in occasione dell’organizzazione del primo GRAN PRANZO FUTURISTA, che avrebbe dovuto tenersi, alla presenza di Marinetti, a Firenze il 3 marzo, nella sala tea-room della ‘Bianca’ (in via dei Pescioni), sede dei soci dell’Opera Nazionale di Assistenza all’Italia Redenta e già Palazzo di Parte Guelfa. Lo stesso anno, il pranzo, sempre sotto la guida del direttore gastronomico Thayaht, avrebbe dovuto essere ripetuto al Club dei Giovani con un programma alquanto spettacolare; tuttavia non è stato possibile rinvenire alcuna traccia sul fatto che gli eventi abbiano avuto luogo realmente*.
Restano comunque a testimoniare il ruolo principale svolto da Thayaht nello sviluppare un programma gastronomico futurista nella città di Firenze, l’invito redatto per il pranzo alla ‘Bianca’ e l’articolata lista delle vivande pensata per il banchetto destinato ad essere realizzato al Club dei Giovani. Per questa occasione in particolare, Thayaht ideò un banchetto altamente suggestivo, dove ogni portata avrebbe dovuto essere annunziata da un colpo di gong, dopo il quale, di volta in volta, sarebbero state «date dall’alto parlante le necessarie istruzioni» ai commensali, mentre una sirena avrebbe proclamato l’arrivo della frutta e la conclusione del banchetto. GRAN PRANZO FUTURISTA avrebbero dovuto essere serviti una serie di piatti legati a tematiche sensoriali e lo stesso menu avrebbe dovuto essere inteso come lo sviluppo di uno spartito musicale:
 
coda di rondine all’uliva (preludio)
fieno fortunoso (piatto tattile)
sangue di buffalo alla rosa (entrata olfattiva)
cibreo nella cupola (sensazione architettonica)
pesce all’iride (piatto visivo)
milanese sul danubio (intermezzo colorato)
carta vetrata alla vitamina (pietanza tattile-ricostituente)
arrivo di  primavera (choc tattile-olfattivo)
pomodoro al magnesio (impressione gelata)
frutta con la sirena (finale uditivo)

Nonostante il GRAN PRANZO FUTURISTA forse non venne mai realizzato, questo evento pensato da Thayaht, seguendo pedissequamente i crismi e le metodologie di manipolazione delle vivande indicate dall’arte cucinaria dei futuristi, dimostrò la portata della creatività estrema dell’artista, stilista e proto-designer pronto ad indossare persino i panni dell’innovativo direttore della cucina futurista.
Inizialmente pensata da Marinetti e da Fillia come evento spettacolare destinato a rivoluzionare il gusto degli italiani, la gastronomia futurista confermava, anche attraverso l’esperienza e le conoscenze scientifiche in materie alimentari possedute da Thayaht, quale fosse la sua natura sperimentale di opera d’arte polimaterica e, al contempo, affermava la sua potenzialità con la stesura di ricette ancora oggi uniche, deflagranti e veramente godibili non solo da un punto di vista meramente intellettuale ma in tutto e per tutto, fisicamente polisensoriale.

Guido Andrea Pautasso

* In forma privata e confidenziale, un collezionista ed esperto di Futurismo – che ha chiesto espressamente di voler mantenere l’anonimato –, messo di fronte ad una serie di interrogativi e di richieste di delucidazioni da parte dell’autore in merito ai pranzi futuristi organizzati dall’artista, ha voluto precisare che il Gran Pranzo Futurista fiorentino non ebbe mai luogo né alla ‘Bianca’ né al Club dei Giovani. Ciò è dimostrato dall’esistenza di una documentazione scritta di Thayaht – ora custodita nel suo archivio personale e non riproducibile in questo sito –, in cui si afferma che gli eventi furono annullati causa forza maggiore. Di fronte a tale informazione, l’autore, nello scrivere il presente testo, ha voluto usare il condizionale.

Bibliografia
Non esiste una indagine dedicata esclusivamente alla cucina futurista di Thayaht, quindi riportiamo le indicazioni bibliografiche di testi che, studiando in maniera precipua la cucina dei futuristi, hanno affrontato la commistione tra arte e cibo nel percorso artistico individuale dell’artista, e che qui vengono riportati in ordine cronologico: Claudia Salaris, Cibo futurista: dalla cucina nell’arte all’arte in cucina (Stampa Alternativa, Viterbo 2000); Guido Andrea Pautasso, Epopea della cucina futurista. Mangiare con arte per agire con arte (Galleria Daniela Rallo, Cremona 2010) e, a cura di Guido Andrea Pautasso, Cucina futurista. Manifesti teorici, menu e documenti (Abscondita, Milano 2015). Mentre Alessandra Scappini nel volume da lei curato, Thayaht. Vita, scritti, carteggi (Mart-Skira, Trento-Milano-Ginevra 2005), ha portato alla luce per la prima volta i documenti del Gran Pranzo Futurista, che sono stati poi successivamente esposti alla mostra Progetto Cibo. La forma del gusto,  tenutasi al Mart di Rovereto tra il 13 febbraio e il 22 maggio 2013.