EPOPEA DELLA CUCINA FUTURISTA

La cucina futurista, regolata come il motore di un idrovolante per alte velocità,
sembrerà ad alcuni tremebondi passatisti pazzesca e pericolosa:
essa invece vuol finalmente creare un'armonia tra il palato degli uomini e
la loro vita di oggi e di domani.
Filippo Tommaso Marinetti

«Mangia con arte per agire con arte»
, sosteneva Filippo Tommaso Marinetti, il primo a rivoluzionare secondo i principii della cucina futurista la gastronomia in Italia e nel mondo. Per scoprire la storia e i segreti della cucina degli artisti futuristi, leggete il volume di Guido Andrea Pautasso, Epopea della cucina futurista, pubblicato (in 300 copie numerate) dalle Edizioni Galleria Daniela Rallo di Cremona.

www.guidoandreapautasso.com
http://vampirofuturista.blogspot.it/

Traduzione in lingua russa di Irina Yaroslavtseva

Переводчик: Ярославцева Ирина



mercoledì 28 febbraio 2018

Ancora Versilia Futurista: Thayaht e Marinetti di Guido Andrea Pautasso Cucina Futurista



THAYAHT E MARINETTI: storia di un incontro

Thayaht con Marinetti a marina di Pietrasanta, 1929
© Archivio THAYAHT & RAM, Firenze

Alla fine dell’aprile del 1929, il capo del Futurismo Filippo Tommaso Marinetti si recò a Lucca per inaugurare i festeggiamenti della Settimana Lucchese e l’esposizione d’arte allestita nella Sala della Pinacoteca di Palazzo Ducale dove tenne un importante discorso, un vero e proprio manifesto della cultura e dell’ideologia del movimento futurista, intitolato Il primato artistico italiano.
Il testo dell’intervento marinettiano apparve sulla rivista “Gli Oratori del Giorno. Rassegna mensile d’eloquenza” (anno III, n.10, Roma ottobre 1929) diretta dal famoso avvocato penalista e maestro di arte oratoria, Titta Madìa (e viene qui preceduto dalla riproduzione della cronaca della giornata redatta da un anonimo cronista del tempo).
Dopo la conferenza, Marinetti incontrò un giovane e promettente artista cosmopolita Ernesto Michahelles, in arte Thayaht, che si era appositamente recato a Lucca per ascoltare le parole del fondatore del Futurismo.
Per Marinetti Thayaht non era affatto uno sconosciuto: lo considerava, seppur giovanissimo, un maestro dell’Art Deco, e sapeva delle sue doti di grand couturier, diventato famoso nel mondo in quanto stilista preferito dalla creatrice di moda parigina Madeleine Vionnet. Soprattutto il capo dei futuristi sapeva che Thayaht era il proto-fashion designer che nel 1920 aveva inventato la T-Tuta o Tuta a linee rette: un abito (ideato assieme al fratello Ruggero Michahelles in arte Ram) in grado di andare oltre tutti i criteri formali delle collezioni di moda e contro ogni tipologia di linguaggio sartoriale.
La T-Tuta consisteva infatti in un abito tout court, universale e destinato alle masse: una «Tuta di un pezzo», tagliata a forma di “T”, che non era una divisa o un abito da lavoro, bensì un vestito concepito per essere adatto per ogni occasione, economico, unisex, in tinta unita, che poteva essere abbellita indossando una giacca intonata, o un capello o una cintura, ed era producibile con dei semplici tessuti leggeri di cotone o canapa a poco prezzo. Marinetti era rimasto subito affascinato da quell’abito così moderno e anticonformista, e in cuor suo aveva desiderato avere dalla parte dei futuristi un creativo geniale come Thayaht. Il destino volle che i due si ritrovassero faccia a faccia a Lucca, allorquando l’artista Primo Conti, amico da tempo della famiglia Michahelles, accompagnato da altri due futuristi illustri, Fedele Azari e il compositore Franco Casavola, fece in modo che Thayaht e Marinetti finalmente si incontrassero.
Thayaht ricordò quel giorno speciale in un appunto datato 27 e 28 aprile del 1929: «Gita a Lucca per far conoscenza con F.T. Marinetti, futurista. Forse aderirò al Movimento. Sono più futurista io di loro!». In realtà la sua arte, votata all’avanguardia e alla modernità più estrema, trovò una ragione in più per manifestarsi liberamente abbracciando in maniera definitiva il Futurismo; mentre le sue ricerche di fatto contribuirono a traghettare il movimento futurista verso una apertura a trecento sessanta gradi rispetto all’arte europea, indirizzandolo così verso nuove forme di sperimentazione.
Marinetti definì Thayaht: «Veloce, sintetico elegante nella vita», «unico esponente di un’aeroscultura astratta, cosmica, simbolica», e il solo in grado, «utilizzando tutti i più intimi valori dei materiali», di raggiungere la «massima astrazione, il massimo slancio di volo e la massima intensità di emozioni».
In una “Nota” dedicata a Thayaht, il futuristissimo Tullio Crali scrisse: «Dopo Boccioni era lui che, per primo, aveva portato il dinamismo plastico fuori dalla compenetrazione dei piani, dando alle forme libertà di svilupparsi nello spazio in un’esaltazione della sintesi e della tensione dinamica. Io lo considero come un pioniere dell’aeroscultura». Mentre le «esplosioni pittoriche» di Thayaht, esposte alla I° Mostra Estiva Viareggina del Sindacato Artisti nel 1934, furono definite da Rinaldo Cortopassi: «Dinamismo; simultaneità di toni e di valori, e di rapporti; sintesi. Gioia di colore determinante masse in moto, linee e giri di forze; luminosità diffusa ed iridescente».
La ricercatezza delle opere di Thayaht, oscillando tra l’astratto e il decorativo, tra l’eleganza sinuosa dell’Art Deco e lo spiritualismo e il dinamismo di derivazione balliana, segnarono concretamente l’immaginario di quegli artisti che seguirono l’avventura del Futurismo e cambiarono la storia dell’Arte.

Guido Andrea Pautasso

Marinetti parla sul primato artistico italiano
 
Ieri sera è giunto nella nostra città, per tenere la conferenza di apertura della Settimana Lucchese F. T. Marinetti ricevuto alla stazione dall’On. Scorza che ha salutato l’Accademico a nome di tutte le autorità cittadine.
F. T. Marinetti si è subito diretto al Teatro del Giglio ove gran massa di pubblico era raccolta per ascoltare la sua conferenza sul primato artistico italiano.
Il massimo teatro cittadino presentava l’aspetto delle grandi occasioni poiché era completo del miglior pubblico e delle rappresentanze dalle Associazioni e degli Enti della provincia.
Sul palcoscenico avevano preso posto le Autorità cittadine fra le quali abbiamo notato: S. E. il Prefetto, il Podestà Cav. Grossi, il Comm. Sergiusti, Comm. Panconesi, Cav. Uff. Pasquale presidente del Tribunale, cav. Fanelli, Comm. Lucarelli, Cav. Tropiano, Giudice Cav. Serpa, Cav. De Micheli, Cav. Buscarino, Conte De Nobili, Cav. Montanelli, Prof. Amos Parducci, Colonnello Russo, Colonnello Minuti, On. Brancoli Busdraghi, cap. Boletti, Cav. Gambarotti, Col. Benicasa, Gen. Cicerchia, Cav. Dalli, Gr. Uff. Carina, Cav. Sartirnagi vice presidente dei Combattenti, Conte Sardi, Comm. Teghini, Marchese Mansi, Cav. De Ferrari, Prof, Mazzinghi, Comm. Straticò, Avv. Salaris, Dott. Moroni, Cav. Leonzi, Maestro Viani, Avv. Cav. Politi, Dott. Dinucci, Cav. Avv. Frassini, Prof. Bonuccelli, Cav. Bertolli, Dott. Patroni, Cav. Casentini, Cap. Giuriani, Cav. Ermete Grossi, Giudice Sborsellini.
Era pure presente una rappresentanza di Ufficiali della nostra Legione con a capo l’aiutante Maggiore Senior Olivieri.
Quando Marinetti insieme all’On. Scorza si è avanzato sul proscenio una viva acclamazione ha salutato l’Accademico e il Gerarca, acclamazione che soltanto è cessata quando l’on. Scorza ha accennato a parlare.
L’On. Scorza ha detto inutile ogni presentazione ed ha indicato all’uditorio l’oratore il quale ha, iniziato subito dopo il suo dire.
F. T. Marinetti ha parlato per oltre un’ora svolgendo con vulcanica parola il tema prefisso ed attirando ininterrottamente l’attenzione dell’uditorio che, conquistato, non si è certo stancato nell’ascoltare.
Riteniamo, impossibile dare un sunto degli argomenti trattati da Marinetti, riteniamo che l’importanza del discorso meriti di essere riportato integralmente senza minorarlo con concentrazione di pensieri e perciò rimandiamo alla prossima edizione la pubblicazione integrale della conferenza, sicuri che i nostri lettori ci siano grati del gioiello d’arte che loro offriremo nella sua preziosa integrità.
Il termine della conferenza è stato coronato da un solo interminabile applauso.

Il primato artistico italiano in un discorso di F. T. Marinetti

Al Teatro di Lucca, recentemente, Marinetti ha tenuto il discorso che segue:

Rapidamente come sempre, perchè io odio i discorsi lunghi, (e vedo molte persone in piedi) cercherò di darvi una visione di ciò che io chiamo il primato artistico italiano.
Per primato artistico italiano non intendo soltanto parlare dell'arte propria-mente detta, cioè di pittura, scultura, architettura, e musica. Allargo il primato artistico al bello scrivere, alla poesia, alla letteratura, alle arti affini. Parlerò dell'arte militare, dell'arte aviatoria, dei records mondiali, e delle scoperte scientifiche. Il primato artistico italiano è la proiezione dell' anima italiana sul mondo.
Vi è sempre stata una tendenza, a considerare il primato artistico italiano dal punto di vista del passato. Che gli italiani siano stati grandissimi nel passato, che il '300, il '400 il '500 e il '600 siano secoli gonfi di potenza geniale italiana, ciò è acquisito, lampante. Non c'è bisogno di molte parole per dimostrarlo oggi. Il torto degli italiani di 20 anni fa era quello di considerare questa forza meravigliosa della razza italiana nel passato, come una ben decorata poltrona nella quale sedersi e aspettare 1' avvenire senza costruirlo.
Questa mentalità che noi chiamiamo passatismo, non ha nulla a che fare con la tradizione bene intesa. Questa mentalità stagnante, inerte, vigliacca, neutralista, rinunciataria, che rifiuta gli sforzi, è delittuosa in una razza tutta plasmata di sforzi, tutta nel di-venire, lanciarsi, tramutarsi, svilupparsi e propagginarsi nel mondo.
Noi futuristi 20 anni fa per aver dichiarato che questa mentalità era delittuosa, fummo beffati, denigrati, combattuti, coperti di torsoli di cavolo; ma quei bombardamenti vegetali erano benefici all' Italia perché nel proiettare il nostro sforzo di italianità nell'avvenire, noi parlavamo di dominio italiano, di fede illimitata nella razza, di volontà di ingigantimento, di slancio guerresco al momento opportuno.
Da quel primo sforzo nacque l'interventismo, che condusse alla guerra; e la guerra, con le sue tragedie, fu tutta un collaudo di forza della razza e giunse alla vittoria.
La vittoria, collo sfracellamento del potere austro ungarico, creò per la prima volta uno stabile orgoglio italiano.
Ma la guerra nella sua pienezza di fiume vittorioso e fecondatore aveva logorato i corpi, le finanze; era logico vi fosse in un primo tempo una reazione bassa, vile, mediocrista, che voleva annientare i frutti della vittoria, annientare 1'orgoglio nato da questa, annientare coloro che 1'avevano voluta. Prudenza, quieto vivere, teorie per evitare la guerra e ottenere vantaggi; cautele di menti diplomatiche in nome della pace ad ogni costo, contro la guerra infame.
Perciò noi — e quando dico noi non porto la mia persona in primo piano perché fummo molti a volere nettamente la difesa della vittoria e la difesa dell'orgoglio italiano conquistato dalla vittoria — fummo molti a Milano, e dico Milano perché si deve a Milano gran parte di quella bella volontà di essere italiani, vittoriosi, orgogliosi della vittoria a dispetto di coloro che piangevano imboscati, e disprezzavano il forte eroismo italiano — noi dunque volevamo tenere alta, fiammante come una colonna di fuoco sulla Nazione, questa volontà che divenne il Fascismo.
Quando Benito Mussolini all'indomani della guerra radunò le forze degli interventisti venuti da tutti i Partiti, spiriti diversi, di tradizioni diverse, riuniti sul punto fermo dell'italianità ad oltranza, quando, dico, Mussolini radunò queste forze, egli non obbediva certo ad un concetto passatista, e non si preoccupava del passato.
Il passato avrebbe potuto insegnare a Mussolini una prudenza, una graduatoria lentissima di sforzi per giungere ad una evoluzione ad un perfezionamento lento, a qualche cosa che poteva rassomigliare ad un nuovo partito della vecchia Italia, un po' riveduta, corretta, rimasticata, riservita in tavola più o meno calda. Ma con lo spirito inventivo che lo caratterizza, o, dirò meglio, con quella potenza artistica intuitiva che egli ha, Mussolini pensò che non bisognava preoccuparsi del passato e di ciò che la storia insegna e delle difficoltà infinite che si presentavano, poiché la Storia, purtroppo insegna sempre la prudenza; ed egli fu allora un imprudente, genialmente.
Con forze raccogliticce, con uomini non catalogati e non passati al vaglio delle vecchie categorie, egli formò il primo impetuoso Fascismo diciannovista, che accettò l’urto con le forze bolsceviche, accettò l'urto col passato mediocrista, col passato pessimista e portò la Nazione in avanti là dove è oggi, cioè virile, energica, dinamica, rispettata all'estero, temutissima e odiatissima talvolta perché ha in sé l'acciaio.

Le forze vive.

Il primato artistico, è il primato dominatore delle forze vive della Nazione. In Italia sono quasi tutte artistiche; devono molto all'esperienza, ma molto si aspettano dall'improvvisazione. Sono la parte migliore dell'Italia.
Noi nella competizione con le altre razze, andiamo acquistando sempre più le qualità di precisione e di organizzazione. La grande armatura sindacale voluta e realizzata oggi dal Fascismo, è una prova che l'Italia ha, oltre tutto, delle qualità di precisione, ordine, metodo, stile, volontà. Però le qualità tipiche della razza non sono queste.
Le qualità tipiche della razza sono le qualità inventive, che fecero i grandi scultori, i grandi pittori, i grandi architetti, i grandi poeti del passato: i nostri grandi di oggi. E su questo primato voglio insistere.
Quando vi parlavo della guerra dimenticavo di dirvi che la guerra fu vinta, dal genio dei nostri condottieri (cito il grande Caviglia) strateghi, dominatori di fanterie, organizzatori d'artiglierie, tempisti segnati dal destino per regolare la forza di un fiume che si gonfia. A un momento dato questo fiume non impedisca alle fanterie di passare! Fu vinta anche dal fante, dal tenentino, dal capitano; tutta quella piccola gente — piccola dico perché non celebre, ma grande per quello che fece in guerra — tutta questa piccola adorabile gente ebbe delle sorprendenti capacità d'improvvisazione, volontà, slancio, capacità di estrarre dalle pietre e dalle macchine dei prodigi. Andare al di là, piantare il piede italiano in una trincea nemica. Queste capacità erano tutte artistiche.
Voi che avete fatto la guerra vi ricorderete, senza dubbio, cos'erano i fatti e che cos'erano i sottotenenti, a tu per tu con le difficoltà sotterranee, le insidie dei reticolati, delle artiglierie. Tutto era risolto, i problemi sembravano facili e dovunque l'ingegno, la furberia e lo spirito, risolvevano i problemi senza ricorrere ai libri militari. Le guerre passate erano abolite e certo non si poteva consultare ciò che aveva fatto Napoleone per risolvere i problemi del Carso, di Plava, del Piave. Bisognava semplicemente ricorrere alla propria sensibilità italiana, capace di tutto improvvisare e tutto risolvere, artisticamente.
Artisticamente si svolge la grande aviazione italiana. Quando De Pinedo vince migliaia di difficoltà e sostiene ad ogni costo una linea di record attraverso le ostilità della natura, centuplicate, moltiplicate bizzarramente contro di lui, De Pinedo è un artista, un genio, un inventore. De Bernardi il volatore veloce, Ferrarin e Del Prete che balzano da Roma al Brasile in 49 ore, sono degli artisti. Ma oggi degli italiani fissano nella pietra, nel metallo, sulla carta, col cemento armato e col ferro, architetture, composizioni, palazzi, statue, pitture, che segnano nuove vie al mondo.
Non posso dilungarmi su tutto l'immenso svolgimento dell'arte italiana. Darò alcuni esempi, citerò due magnifici interventisti, morti tutti e due in guerra, che hanno segnato il cammino dell'arte mondiale.
Il primo mi fu compagno nelle prime battaglie interventiste a Milano ed è il grande Umberto Boccioni. Boccioni nato a Reggio Calabria da parenti romagnoli è stato il più grande rivoluzionario della pittura e della scultura del nostro tempo. Egli morì vicino a Verona dopo aver fatto la guerra sull'Altissimo con me. Come volontario: morì da semplice soldato d'artiglieria cadendo da cavallo. Ma aveva compiuto già la sua opera.
Se voi entrate nei cenacoli degli artisti di avanguardia, di Cecoslovacchia, di Germania, d'Austria, di Norvegia e di Francia, trovate il libro di Boccioni tradotto, analizzato, studiato, commentato. Boccioni fu pittore, scultore e architetto.
Un libro apparso da Campitelli, riunisce tutte le sue opere e illumina coloro che vogliono entrare nel genio di questo straordinario artista. Artista trascurato in un primo tempo, e che va sempre più prendendo l'anima e la sensibilità degli artisti di tutto il mondo.
Egli è stato il più grande rivoluzionario della pittura e della scultura del nostro tempo. Se per tradizione si intende affinità che lega tutti gli artisti della nostra terra, si può dire che Boccioni è il figlio di Michelangelo. Ho dimostrato in parecchie conferenze, mediante diapositive, come dalle opere di Michelangelo, che adornano la Cappella Sistina si può giungere alle scomposizioni, ai complessi plastici di Umberto Boccioni.
Michelangelo rappresenta nell'arte scultorea colui che per il primo superò l'anatomia per giungere ad una personale interpretazione delle forze dell'anatomia stessa. Primo egli capì che l’anatomia non poteva essere uno scopo in arte. ma che da una interpretazione geniale, e trasfigurazione della anatomia, si poteva salire ad una architettura umana più nobile, più degna della visione degli uomini.
Per questo le proporzioni per lui non sono mai sufficienti. Sognò di plasmare le montagne. Specialmente nella Cappella Sistina, sviluppò i suoi muscoli al di là dell'anatomia stessa, cercando la forza che anima i muscoli, la forza che si proietta fuori dai muscoli. Non pensò se un critico giungerebbe a criticare le proporzioni e a sottolineare un possibile errore. Pensò l'anima del personaggio da lui sognato, più potente della materia stessa. A forza di voler dare spirito e pensiero ad una inerte materia, seppe creare, muscoli, fiamme, luci, lampi. Voi potrete, analizzando la Cappella Sistina, vedere come vi siano schiavi o profeti, che per avere una forza più drammatica più carica di anima, non hanno più la linea normale: un dorso diventa una gobba, una gamba diventa mostruosa. Ciò che importa è che tutto vive, tutto ha stravinto la materia.
Umberto Boccioni, non imitando Michelangelo ma preoccupato della grande sensibilità moderna, o modernolatria — passione dell'oggi, passione di tutto ciò che la scienza ha portato nella scienza moderna, passione delle nuove materie a nostra disposizione, passione delle metamorfosi subite dall'umanità sotto il pungolo della velocità, sotto il pungolo dei contrasti economici — egli sentiva il bisogno di dare non più corpi inerti, non più statue isolate ma la forza dei muscoli nobilitata da ciò che agita 1'uomo. Non le chiamava più statue ma complessi plastici perchè legava l'uomo alla materia circostante, all'ambiente: un individuo in teatro era diverso dall'individuo in una piazza o in un campo. La statua era raddoppiata dall'ambiente.
Questo sogno Boccioni 1'ha realizzato non preoccupandosi più di dare il tale viso, la tale storia impressa sul viso, il tale gesto che racconta una guerra, un amore, ma bensì le forze che compongono quest'uomo: forze spirituali e forze materiali nel loro sviluppo e nella loro agitazione, non fisse e immobilizzate, ma prese dal vortice della vita. Perciò non più «uomo che corre» ma «muscoli in velocità».
Se Michelangelo vivesse, si preoccuperebbe di questo problema di velocità, e di ambiente da esprimere e da sovrapporre alla figura; si preoccuperebbe di dare la sensibilità nostra elettrizzata della vita, il tumulto delle passioni che abbiamo oggi e che la vita sua non comportava ancora.
Se voi frequentate le esposizioni di Parigi, di Londra, e di Berlino, trovate dovunque tracce di questo che chiamiamo muscoli in velocità, o dinamismo plastico, o pittura degli stati d' animo, pittura delle sensazioni. Non più realismo, né impressionismo, ma trasfigurazioni della realtà, in stati d'animo e sensazioni. Sogno d'arte difficilissimo che produce capolavori e anche rottami poiché è molto arduo raggiungere la mèta.
La critica, che è sempre in ritardo come una povera diligenza e che talvolta si ostina a perseguitare di pietraie i velocizzatori, la critica ha poco capito, finto di ignorare e seguito con ironia l'opera di Boccioni durante la vita. Appena morto Boccioni fu riconosciuto un grande, ammirato, studiato.
Un'altro grande trascurato oggi ritorna ad essere discusso. Le sue trovate, la sua rivoluzione artistica sono oggi in piena attività in tutto il mondo: si tratta dell'architetto Santelia, comasco, venuto dal socialismo, entrato nel movimento futurista, divenuto interventista violento con me e Boccioni. Dopo aver partecipato come volontario sull'Altissimo alla battaglia di Dosso Casina, entrò in Fanteria e vicino a Monfalcone trovò brillante la morte, alla testa di una Compagnia all'assalto. Era uno spirito bizzarro, originale, pieno di una potenza virile travolgente. Amava la vita, godeva la vita, e alternava le sue ricerche architettoniche con la gioia più sfrenata di goliardo, senza trascurare nessun piacere. Mi ricordo di aver vissuto con lui giorni indimendicabili per gaiezza e disinvoltura. Sull'Altissimo, malgrado il freddo feroce, si divertiva a ricostruire col ghiaccio e con la neve le sue architetture futuriste.
Aveva fatto prima del suo interventismo una esposizione a Milano alla Famiglia Artistica con dei bozzetti della città futura, visione audacissima della città del 2000, visione che fu riprodotta da tutti i giornali esteri e specialmente americani. Oggi a Boston case a gradinate con ascensori esterni a fascio, seguono esattamente i primi disegni di Santelia.
Dopo 1'Altissimo, un suo generale ebbe un'idea disgraziata, un giorno: «Caro Santelia, sei un grande architetto, desidero che tu costruisca un grande cimitero per gli eroi nostri». Santelia disse: «Generale, potreste cominciare voi a disegnare la vostra tomba». Il generale gli ordinò affettuosamente di creare il cimitero. Santelia due giorni dopo usciva con la sua compagnia. Una palla in fronte, e occupava il primo posto del suo cimitero!
Vita di architetto, fino all'ultimo momento, fino al momento in cui col fumo spiralico della sua sigaretta, coi suoi capelli rossastri al vento, egli disegnava l'architettura di Trieste, in lontananza, mentre diceva: «Stasera o si dorme a Trieste dove costruiremo le nostre nuove architetture, o in paradiso!». Così morì Santelia.
Santelia aveva creato la nuova architettura. Se oggi vi recate vicino a Parigi, ad Auteuil, trovate una strada futurista di circa 20 fabbricati, costruita secondo le leggi di Santelia. Leggi di armonia basate sui nuovi materiali, cemento armato e ferro, colorazioni esterne, uso ampio di vetrate e cristalli, ascensori esterni, comodità, aria, luce. A Berlino, a Magdeburgo, a Bruxelles, in Inghilterra, dovunque la nuova architettura è legata al pensiero di Santelia. Più nessun contatto con lo stile del passato e con l’ibridismo sovraccarico di stili antichi e la miscela di stili abbominevole che si potrebbe chiamare stile Coppedé.
Fuori di questi ibridismi, fuori di queste imitazioni del passato, e di questi stili sovrapposti, l'architettura di Santelia è nettamente italiana, pratica, chiara, alta, fresca, adatta ai nostri bisogni d'oggi, senza nerume, funebrume. Colorita, sgargiante giovialità di linee, eleganza dinamica di linee, utilizzazione di tutto ciò che il cemento armato può dare di audacissimi archi di ballatoi, terrazze, ecc.

I pionieri.

Questi sono pionieri. I pionieri hanno idee nuove, che altri non osano sogna-re e lanciano lontano progetti apparentemente irrealizzabili. I realizzatori avvincono il pubblico con manifestazioni d' arte accettate, risolte, giunte a maturità.
Vi dirò incidentalmente che a Parigi i due massimi teatri, l'Opera e l'Opèra Comique, non possono vivere senza due grandi italiani: Verdi e Puccini. Non vi è possibilità di fare una stagione senza ricorrere a questi due italiani. Ecco due realizzatori, che mantengono il primato artistico italiano all'estero. Ma vi trionfano i novatori. e vi cito uno che è stato assurdamente fischiato a Roma: Malipiero, autore delle «Sette canzoni» date all'Opera di Parigi con grande successo. Assoluta novità nelle ricerche, massima sintesi musicale, massima concisione e massima concentrazione di sentimenti e di pensieri.
La musica di Malipiero è rapida, veloce, serrata, condensata in pochi ritmi, in pochi accordi, in poche note. Urtò il pubblico romano del grande teatro dell'Opera, pubblico noto per essere sdegnoso, dirò meglio (per usare una parola francese non traducibile in italiano per fortuna nostra) blasé. I francesi sono spesso blasés, cioè sdegnosi: l'applaudire è un atto non elegante. Un frak bene stirato, non può fare questo movimento affrettato che segna sulla stoffa delle pieghe.
Questa mentalità non è italiana, ma avviene che degli italiani si diano il piacere di essere blasés, freddi: «O Dio, quest'opera di Wagner, che noia! l'abbiamo tanto sentita!», oppure: «O Dio, quest'opera di Malipiero, che novità astrusa!». Il vecchio non piace perchè vecchio, il nuovo non piace perché nuovo, nulla piace, atmosfera di malinconia, incapacità ad amare e desiderare.
Questo che vi dico è importante. Combattiamo la sensibilità non italiana, criticomane, triste, pessimista, scettica che tutto beffa, distrugge. Se ve ne fosse una piccola particella in questa sala, si affretterebbe a dire che io esagero con l’esaltare Malipiero o Santelia, e che questi valori italiani si potrebbero annientare con facilità; come si annienta l'amico che ha dell'ingegno.
Non si ammette che una persona che prende il caffè con noi allo stesso tavolo, con lo stesso cucchiaio, possa avere del genio. Mentalità critica che io odio quanto la odia il Duce; mentalità ironica, triste, rinunciataria, pessimista che impedisce ai costruttori, ai realizzatori, agli ottimisti, di mantenere il primato ad ogni costo e di esaltarlo ad ogni costo. Nelle città di provincia lo spirito di critica e di corrosione è più forte perché la vita in comune, meno violenta, si presta al pettegolezzo, alle calunnie. Bisognerebbe scoparle via con la scopa migliore del Fascismo.
Di tanto in tanto questa ironia critica ci assale, come è avvenuto recentemente in un giornale di Firenze « Pégaso» — fra parentesi osservo che dare il nome di Pégaso ad una rivista oggi, al tempo di Ferrarin, è una cosa assurda. Pégaso è un cavallo marcio. — In questo cavallo marcio vi era un articolo di Papini. Papini fu futurista un anno e poi ricadde passatista: evidentemente l'aria ossigenata delle cime non favoriva i suoi polmoni. In questo suo articolo egli dice il contrario di ciò che io ho affermato qui. Insistentemente egli dichiara che non vi è arte in Italia, che non vi è romanzo, non vi è teatro, che non vi è ingegno, che gli italiani, non sanno fare né un romanzo, né una commedia, né una poesia.
Avevo ragione di parlare della zona di criticomanía e di ignobile scetticismo che purtroppo esiste nella vita italiana. Egoismo mascherato di saccente sarcasmo che con setacci sapienti vaglia i valori italiani perché non passi di contrabbando per uomo di genio un individuo che non lo sia veramente. Concezione miserabile! Denigra tutto e non trova nulla di nobile, chi guardandosi allo specchio ogni mattina, fa schifo a sé stesso.
In Italia fuori della pittura e della scultura esiste una letteratura mirabile.
Asserisco ciò con una competenza di conoscitore di letteratura estera. Paragone preciso e dettagliato. Potrei farvi una conferenza per criticare un gran drammaturgo mio compagno nella nuova accademia mussoliniana: Pirandello. Potrei dimostrarvi che Pirandello è eccessivamente funebre, monotono, torturata e torturante nelle sue analisi; predilige soggetti truci, talvolta antipatici. Potrei dimostrarvi tutti i difetti di Pirandello, ma ciò non mi diverte. Non lo farò mai, perché attraverso tutti i suoi difetti egli manifesta un ingegno formidabile, acutissimo, profondo. una sensibilità dinamica che gli permette di animare e drammatizzare qualsiasi soggetto, qualsiasi idea, qualsiasi problema filosofico anche astruso. Capacità che lo mette al di sopra di qualsiasi altro dal punto di vista della abilità di palcoscenico.
Ecco perchè Pirandello ha influenzato tutti i teatri del mondo. Pirandello lo troviamo a Parigi, a Berlino e a Londra.
Io vi ho parlato di Boccioni e vi ho parlato di Santelia ; due grandi novatori: un grande scultore e un grande architetto futuristi. Vi potrei parlare di un altro futurista : Casàvola, che darà in questi giorni la sua opera al teatro dell'Opera a Roma, opera che ha vinto il premio del Governatorato, e dirvi tutta la genialità sua. Ma vi posso aggiungere che il movimento futurista creato da me e dai miei amici, circa venti anni fà, ha influenzato il mondo.
A Parigi vi sono futuristi e gruppi di novatori a Berlino e a New York, tutti nettamente dominati dalle idee dei futuristi italiani. E queste sono verità riconosciute non soltanto in Italia a mezza bocca dai soliti criticomani e invidiosi che dicono: «Certamente il futurismo ha fatto del bene. Ha svecchiato, è stato anche il precursore e il preparatore del fascismo; ma oggi è cosa superata, e poi certi eccessi... per carità, per carità...» mentre all'estero! Così: a Pietrogrado in pieno Soviet, Lunaciarsky dichiara: «La scenografia russa è stata tutta influenzata dal futurismo italiano». Ivan Goll a Parigi dichiara: «Il primo grido di riscossa artistica è stato lanciato dal futurismo italiano che è stato da tutti imitato e copiato».
Queste sono dichiarazioni di estranei, di esteri, di lontani da noi. Io li cito per dimostrare che ovunque a noi futuristi, e a me particolarmente, sta a cuore questo primato dei pionieri, e inventori italiani, che lanciano razzi all'infinito, idee nuove, non curandosi se dopo, altri, in altri paesi, con maggiori mezzi e possibilità realizzano.
Se voi ammiriate talvolta scenografie russe nei teatri russi futuristi, e tali da fare scattare in applausi il pubblico, voi vi domandate perché i russi sanno realizzare i nostri sogni d'arte. Ciò si lega anche al problema della crisi del teatro che a ragione del nostro stesso paesaggio le nostre città aereate, colorate o tinte dal Mediterraneo azzurro, sono tutte più o meno palcoscenici ideali, piacevoli,
chiassosi, e i nostri uomini e le nostre donne sono sempre attori da ammirarsi. Mentre se vi avventuraste oggi a Praga, a Vienna, a Copenaghen, a Berlino, trovereste un cielo così triste, fangoso, torbido, ostile, che involontariamente vi affrettereste a riparare il vostro cuore in un teatro per cercare un paradiso caldo. Da ciò l'importanza del teatro nel Nord, la possibilità di trovare capitali e forze di ogni genere. Questo spiega perché si fanno cose grandiose dal punto di vista
futurista nel teatro all'estero; che non si possono realizzare in Italia.

La penisola e la razza.

Due ragioni, o meglio due condizioni di fatto, ci garantiscono il primato artistico geniale sul mondo: innanzi tutto la nostra varia penisola. Noi abbiamo in Italia tutti i paesaggi riuniti. Noi possiamo passare dalle pianure lombarde atte alle velocità automobilistiche, ai burroni appenninici, ai contrasti delle montagne alpestri, alla scultura di certi accozzi di scogliere, alla dilatazione cordiale
di vasti golfi, di piccole baie lunate dove tramonti e aurore gareggiano in bellezza e delicatezza. Se voi scendete in Sicilia e se prima vi fermate all'isola di Capri, voi trovate tutte le bellezze del mondo: dalla varietà degli scogli strapiombati, agli splendori degli zaffiri, delle turchesi, delle ametiste, che sono là a disposizione e che dovete trasformare in opere d'arte. Voi avete tutto in Italia perciò siete scultori, pittori, poeti, artisti, privilegiati. Il primato è vostro e avete il dovere di mantenerlo. Dovete creare la più bella musica perché i vostri fiumi cantano; perché dalle nevose cime voi potete far colare sinfonie musicali adeguate all'ondeggiamento delle vallate. Potrete scolpire montagne o musicare gareggiando colle colline toscane che hanno tutte le morbidezze e i languori femminili.
In secondo luogo, su questa penisola prodigiosa che ha tutti i contrasti, vi è una razza che non mi stanco di elogiare malgrado i suoi difetti: di provincialesimo, di critica corrosiva, d'ironia inutile. Questa razza ha al centro un ottimismo d'acciaio, una forza di volontà, un'energia avventurosa che voi lucchesi avete insegnato un po' al mondo.
Bisogna lanciarsi, bisogna fare altrove, lontano, cose inaudite, non mai viste, per poi giungere in paese con la potenza concentrata del denaro e costruire l'avvenire nella famiglia. Forza tipicamente italiana nel senso assoluto della parola perché legata all'amore della donna e come tale sana, generosa, virile, energetica, ottimista; contraria in ciò a quelle razze che ondeggiano senza istinto, razze i cui sessi vanno separandosi sinistramente.
Insegniamo ai bambini le nozioni atte a conservare e a perfezionare, il primato artistico nel mondo. La scuola deve insegnare al bambino l'iniziativa — lo sgobbone non ha importanza — il dinamismo, l'originalità, la forza muscolare, il coraggio fisico e il coraggio morale. Un pugno quando è necessario. E il senso di italianità. Essere italiano è per sé stesso un privilegio meraviglio so su tutti gli altri privilegi.
Queste le lezioni da dare ai bambini. Ma il Duce nostro magnifico, sempre fulmineo nelle decisioni, ha pensato di creare con 1'Accademia qualche cosa di vivo, di dinamico, che precisamente sia fuori da ogni tradizione e che uccida la mentalità tradizione ; un organismo dinamico, energetico, composto di uomini di alto valore spirituale, e non rammolliti dagli anni ; una dinamica associazione di spiriti che lavorando in Italia, su questa Penisola scabra e vulcanica fatta per i grandi scultori, musicisti, artisti, poeti, e letterati, dia sempre più alta la sensazione al mondo che gli Italiani privi di carbone, e di ferro, hanno il genio, la forza di costruire l'avvenire e una luce che può veramente illuminare il mondo se tutte le centrali elettriche si spegnessero domani.

F. T. MARINETTI.



Per chi volesse approfondire le ricerche su Thayaht, oltre a consultare il sito dell’Associazione culturale THAYAHT & RAM, http://www.thayaht-ram.com/wp/, consigliamo la lettura dei seguenti saggi di Guido Andrea Pautasso, Versilia futurista. Dalla Repubblica di Apua alle scorribande di Marinetti e dei futuristi in Versilia (Pietrasanta, Edizioni Franche Tirature, 2015) e di Alessandra Scappini, Thayaht, vita, scritti, carteggi (Skira-Mart, Ginevra-Rovereto, 2005).

CON IL PRESENTE ARTICOLO GUIDO ANDREA PAUTASSO ANNUNCIA AI LETTORI DEL BLOG CUCINA FUTURISTA LA COLLABORAZIONE CON L’ASSOCIAZIONE CULTURALE ARCHIVIO THAYAHT & RAM IN QUALITÀ DI MEMBRO DEL COMITATO SCIENTIFICO.