Piero Manzoni o del "Grado Zero"
L'ARTISTA HA INDICATO LA STRADA DI UN RADICALE RINNOVAMENTO
L'ARTISTA HA INDICATO LA STRADA DI UN RADICALE RINNOVAMENTO
Piero Manzoni, a inseguirlo lungo i percorsi delle sue sperimentazioni,
si rivela distante da ogni pratica del fare e quindi anche dell'arte come è
stata intesa nel corso dei secoli, piuttosto sembra misurarsi con la
paradossale consistenza dei pensieri - i concetti- se non addirittura
delle parole, letteralmente inafferrabili nella loro impalpabile materia
grafica o sonora, ma pesanti e resistenti come pietre - la similitudine,
si sa, è di Carlo Levi - nella loro forza espressiva e irriducibili a un senso
univoco, piuttosto luminose e cangianti come le riconosciamo nella poesia
moderna. Un letterato, dunque, anche se tutt'altro che tradizionale,
anzi programmaticamente sperimentale come i suoi coetanei della neoavanguardia,
che infatti aveva per compagni di scuola, da Antonio Porta - alias Leo
Paolazzi – a Nanni Balestrini, fino a Vanni Scheiwiller, coi quali condivise la
scrittura di manifesti e la pratica di pubblicare riviste.
Non è casuale che le sue invenzioni affidino la loro durata alla
testimonianza scritta - narrativa, poetica, filosofica, al racconto di sé,
certo più affidabilmente che a quella visiva, esplicitando un'affinità
linguistica altrimenti non facilmente riconoscibile: in principio piuttosto che
l'opera sta l'idea, che si rivela prima in parole, magari heideggerianamente
scomposte per svelarne il senso originario, che invece nella metafora delle
performance si occulta, chiedendo un arduo impegno ermeneutico.
Quando, il 21 luglio I960 la galleria Azimut - la stessa insegna
della rivista di Manzoni e Castellani - invitò alla Consumazione dell'arte
dinamica del pubblico divorare l'arte, il pubblico, di fronte a 150 uova
sode contrassegnate dall'impronta del pollice dell'autore, in poco più di
un'ora fece sparire le "sculture da mangiare" in un rito di comunione
nel quale l'opera si con-fondeva con lo spettatore mutandone il destino.
L'arte, insomma, non c'era più, negata nella sua stessa essenza,
mentre acquistava risalto il discorso che proclamava la fine di ogni estetismo
retorico e sentimentale e indicava un percorso di radicale cambiamento, che
dalle Uova, attraverso le modelle delle Opere vive, gli oggetti
bianchi degli Achrome, i palloncini dei Corpi d'aria o dei Fiato
d'artista, i rotoli di carta delle Linee, arrivava sino alle
scatolette di Merda d'artista, e cioè a una sorta di grado zero della
scrittura e dell'arte, dal quale si poteva soltanto ri-cominciare da capo.
Tutto questo diventa ora evidente leggendo il bel libro di Guido
Andrea Pautasso, Piero Manzoni. Divorare l'arte (Electa, pp. 176
illustrate, € 22,00).
Cesare De Michelis
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