L’alcova d’acciaio tradotta per la prima
volta in
russo a quasi cento anni dalla sua prima edizione
Finalmente, a
distanza di novantasette anni dalla sua prima edizione italiana, è stato
tradotto per la prima volta in russo da Yrina Yaroslavtseva il romanzo futurista
di Filippo Tommaso Marinetti L’alcova d’acciaio.
Romanzo vissuto e pubblicato dalla casa editrice Ziolkovskj di Mosca.
L’alcova d’acciaio, presentato come romanzo vissuto, racconta dell’esperienza di
Marinetti durante la Prima guerra mondiale, oltre a far rivivere alcuni episodi
legati alle sue scorribande erotiche giovanili, esposti con largo uso di
fantasia da parte dell’autore che si diverte a enfatizzare il suo appetito
smodato per la vita, la sua virilità e le sue doti di seduttore. In L’alcova d’acciaio Marinetti rievoca infatti
l’esperienza della guerra in trincea e racconta, in maniera gioiosa e quasi
fanciullesca, le ore trascorse con le sue amanti, impegnato in maratone
amatorie in camera da letto, laddove non perdeva l’occasione per combattere la
sua personale battaglia per la conquista del Piacere. Così, nelle pagine del romanzo
Marinetti sottolinea la sua natura di futurista voyeur e contribuisce a creare l’alone mitico di
superuomo-futurista che ha ammantato la figura di intellettuale e uomo d’azione
al tempo stesso.
L’alcova d’acciaio venne pubblicato per la prima volta nel 1921 dalla
Casa Editrice Nino Vitagliano di Milano. Il volume fu subito sequestrato per la
sopraccopertina ritenuta oscena, al punto che la censura consentì di
ridistribuire il libro soltanto dopo la distruzione della stessa. L’alcova d’acciaio fu successivamente
riscritta dall’autore eliminando i termini giudicati all’epoca scabrosi e venne
ristampata da Mondadori nel 1927 e nel 1937, con una nuova copertina di Giulio
Cisari. La sopraccoperta della prima edizione è stata disegnata da Renzo
Ventura, nome d’arte di Lorenzo Contratti, pittore, illustratore e
caricaturista di Colmurano nelle Marche, che firmò le sue opere con il cognome
della madre Maria Ventura. Una grave forma di mania di persecuzione costrinse l’artista
al ricovero nel manicomio provinciale di Mombello a Limbiate, dove diventò disegnatore
presso l’Ufficio Tecnico dell’Ospedale. A Renzo C. Ventura è dedicato il Museo
della Memoria di Colmurano.
Guido Andrea Pautasso
Riportiamo qui di
seguito un brano tratto dal romanzo marinettiano.
Una donna-premio
Nella camera
dell’Albergo d’Italia io entrai come si entra da un pasticciere quando si è
stati privati di zucchero per molto tempo. Parlai d’amore con lirismo
variopinto e modulatissimo offrendo tutti i trampolini vellutati alla dedizione
della bella donna, ma la conquistavo si può dire d’autorità. Non era una corvée
che imponevo ai nervi della mia amica, li mandavo anzi in licenza sulle spiagge
d’un gran mare di voluttà perché vi guizzasse il suo spirito al quale io
superiore cortese insegnavo a nuotare. La stanza era accesa dai riflessi delle
mille bandiere che infuocavano le facciate delle case. Mobili giardini pensili.
Rosso che sembra veramente ringiovanito. Il verde giallastro di Caporetto è
diventato un verde Piave, un verde Mare Adriatico, diventerà un verde Isonzo.
Il cielo incandescente sembra roteare come un viluppo gesticolante di
bersaglieri scamiciati, feroci, urlanti, la bocca piena d’italianità selvaggia
e d’orgoglio, amore-vendetta-rapina-eroismo-maffia. Mi voltai per seguire la
bella mia affaccendata nell’aprire i suoi bagagli. Un morso delicato nella
nuca. Poi la svestii. Si lasciò fare languidamente, con tutte le moine che
distinguono le amanti venete e il loro chiacchierio di uccellino che maledice
la gabbia, implora la libertà e non conosce altro cielo che quello che brilla
nell’acqua dello scodellino. La stordii di baci e di carezze infinite. La presi
e ripresi con foga, con pratica slancio, delirando. Poi mi fermai. Buttai sul
divano l’anima che mi aveva servito fino allora e ne tirai fuori un’altra dalla
profondità dei miei nervi. – Bisogna, pensai, che io valuti con precisione
scientifica il premio offertomi dal destino. Imposi dolcemente silenzio a Rosina
che si accaniva a dimostrarmi l’imbecillità paurosa di suo marito notaio,
pedante germanofilo, disfattista, imboscato malgrado una buona salute e i suoi
25 anni, e le dissi: – Cara Rosina, sei troppo bella per coprirti con una
camicia, toglitela. Voglio analizzare la tua bellezza con cura e prendere delle
note. Salto dal letto prendo il mio libretto di note, dispongo bene il corpo
nudo e coricato di Rosina: – Chiudi gli occhi. Bene!... ora aprili! Occhi
meravigliosi. La cornea lievemente azzurrina vellutata agli angoli da
piccolissime venette sanguigne, nuota in uno strano rosolio dorato. La pupilla
è nera cerchiata d’oro scuro... Rosina è stupita, trattiene la sua allegria, mi
lancia un’occhiata brillante e maliziosa che si lega bene al sorriso. Ecco il
sorriso sboccia, mobile losanga, e fiorisce tondo sui denti piccoli, freschi,
bianchi, saporiti. Penso ad una giovanissima Madonna di Raffaello, ma più
calda, passionale, dietro i cristalli di una limousine veloce. Io amo i seni
piccoli vivaci, spiritosi. Questi di Rosina sono invece un po’ grassi e
lievemente materni. Ma la bella cupola militare del ventre è perfetta. Sotto
l’ombelico una lievissima depressione perpendicolare discende, piccolo sentiero
appena marcato e si perde nell’ombra triangolare fra le cosce. Ancora più
ammirevoli. Hanno muscoli sodi, mascherati dalla più dolce carne. Bei cuscini
soffici e nuovi con ricche molle di muscoli. Ma Rosina è già annoiata da tanta
estetica. Nuovi baci, nuove carezze e nuova pausa con relativo chiacchierio sul
marito che Rosina critica ora come un vizioso parassita amico delle prostitute.
Il nostro dialogo è interrotto da un balzo di Zazà che vuole accucciarsi fra
noi. La mia cagnetta di guerra non conosce le donne. Ha sempre vissuto in mezzo
ai soldati ed è decisamente ostile ai dissolventi profumi carnali. Mi ammonisce
abbaiando, richiamandomi all’antica castità. La caccio via, rimbalza su. La
mando dall’attendente nel corridoio.
Io sono ormai
sufficientemente premiato. Ho centellinato e masticato deliziosamente tutte le
ghiottonerie di quel letto imbandito come una tavola di re. Nell’annotare sul
mio libretto la mollezza soave delle due bende di capelli che coprono le
piccole orecchie di Rosina ho sentito gonfiarsi nel mio cuore un oceano di
pensieri e ormai il mio spirito vi naviga sopra, con le sue vele date al tondo
soffio delle purezze astratte. Dico a Rosina concludendo: – Non ti potrò mai
dimenticare, poiché sei veramente la figlia del nostro Piave devoto e della
vittoria!
Il brano «Una
donna-premio» è tratto da Filippo Tommaso Marinetti, L’alcova d’acciaio. Romanzo vissuto, Casa Editrice Nino Vitagliano,
Milano 1921, pp. 57-60; ora in Guido Andrea Pautasso (a cura di), Erotismo futurista. Teoria e pratica. Con
cinque ricette afrodisiache, Abscondita, Milano 2018, pp. 89-91.
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